Domenica 22 settembre al Castello di Sorrivoli Guy Butavia, israeliano attivista all’interno dell'impegno militante denominato Operazione Colomba che vorrebbe contrastare pacificamente la pulizia etnica ai danni dei palestinesi della Cisgiordania, ha illustrato con filmati il campionario di angherie e crudeltà utilizzate per questo fine da parte dei coloni israeliani, talvolta militarizzati, e dell'esercito. L'iniziativa è stata promossa dal gruppo cesenate di Mediterranea saving humans.
La Cisgiordania, che i ministri ultra-ortodossi della compagine di Netanyahu chiamano biblicamente Giudea e Samaria, già da tempo sta subendo le malefatte di un'urbanistica, chiamiamolo cosi, che punta ad interrompere la continuità e l’osmosi tra gli insediamenti palestinesi. Ebbene, dopo il 7 ottobre questa frammentazione si è trasformata in chiusure vere e proprie che impediscono agli abitanti dei villaggi di muoversi liberamente per lavoro e anche studio.
La proprietà privata in Cisgiordania non è inviolabile e ci si può costruire per ebreizzare il territorio. E se protesti e ti difendi dai coloni che ti minacciano con bastoni e armi da fuoco, i soldati, se non stanno solo a guardare o si impegnano soprattutto ad allontanare chi filma, attribuiscono sistematicamente la responsabilità delle colluttazioni e dei diverbi ai palestinesi. Con anche arresti. E pure morti.
Le capre e le piante da frutto vengono avvelenate, le case rase al fuoco dal buldozer, la raccolta delle olive degli uliveti è impedita. E, se ce la fai lo stesso a riempirne un sacco e ti intercettano, il carico viene sequestrato con l’asino. Le minacce, gli attacchi e la distruzione di macchinari agricoli non è frenata da alcuna autorità. Per esempio gli impianti per la fornitura di acqua, quando ce l’hanno, vengono manomessi.
I coloni, dicevamo, aggrediscono coi bastoni i palestinesi, ma anche i militanti gandhiani che li difendono o filmano rischiano. Anche la vita. E se accade che in un rigurgito di separazione dei poteri la giustizia sentenzi il diritto degli abitanti a tornare alla terra che è stata loro arbitrariamente tolta, non però gli è riconosciuto quello di ricostruire gli edifici nel frattempo abbattuti.
E che fai a quel punto? Te ne vai? In qualche caso si. Questo appunto si vuole, questo ormai l’establishment al potere sostiene apertamente.
Quel che fanno i governi di Israele ai danni dei palestinesi della Cisgiordania ricorda molto quanto i fascisti fecero nel '20 e '21 in particolare in Emilia e Romagna per cancellare ogni traccia di movimento socialista contadino. Un mix di violenza, minaccia, prevaricazione condita con il sostegno dell'esercito e la rara, insufficiente e spesso contraddittoria tutela da parte della giustizia mentre il mondo guarda impotente.
In un paese, Israele, che giustamente può essere definito democratico, ma solo perché prevede libere elezioni. Per il resto, oltre che attraversato da istanze autoritarie e repressive nei confronti del suo stesso popolo, sta procedendo in un lavoro lento e mai interrotto di apartheid e oppressione nei confronti della minoranza che già viveva in quelle terre prima del 1947, prima guerra arabo-israeliana, e prima che la nobiltà del sionismo s’inquinasse di bullismo geopolitico e razzismo. E prima che la politica dei due popoli e due stati diventasse carta straccia.
E fosse sostituita da una politica no non genocida. Il termine usato anche da Guy è fuorviante e presta il fianco a reazioni di sdegno in quanto riconducibile ai forni e ai massacri al tempo stesso sommari e selettivi di Srebrenica. Quella illustrata da Guy è invece a tutto tondo una pulizia etnica (raccontata anche dalle inchieste di Francesca Mannocchi su La Stampa). Che parte da lontano e dopo il pogrom del 7 ottobre - ha puntualizzato Guy- "ha solo accelerato”. Pure incrudelendosi.
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