Quest’anno, trentatreesima edizione, il Si Festival di Savignano al Rubicone ha ritrovato buona parte della sua identità e vocazione: riassegnando alla fotografica il suo ruolo primario oltre che diffuso nella cittadina, restituendo a piazza Borghesi l’epicentro della manifestazione ed anche evitando improbabili commistioni con altri generi, tipo musica. Il rito, nella prima serata, quella di sabato 14 settembre (il festival durerà fino al 29) della fotografa (o insomma quello che era) che affida al fuoco una ad una le foto dell’archivio fotografico del padre ha espresso un momento di particolare significatività di una rassegna che non rincorre affatto certezze, soste, sicurezze.
Tolti gli spazi dedicati ad inediti e altro di Marco Pesaresi, il cui archivio è stato donato dalla famiglia a Savignano, e a Silvia Camporesi, con una mostra antologia, alcune foto dell’alluvione del 2023 comprese, all’interno della chiesa del suffragio, nei vari spazi minimalisti soliti, dalla scuola Giulio Cesare ad complesso del consorzio di bonifica sulla via Emilia, quest’anno, verrebbe da dire più che mai, e in ogni caso come recita la sua storia, il Si Festival ha proposto scatti riconducibili a perdita, marginalità ed emarginazione, underground, divisioni, ricerca, fragilità, notte, solitudine. Il tutto, secondo tradizione, quasi confuso con l’ordinario e il trasandato dei contenitori. Per nulla agevoli neppure nell’accesso e nell’usufruizione.
Non potrebbe essere diversamente, verrebbe da dire. Tanto da presumere inimmaginabile per le foto esposte una location diversa da Savignano: l’ambientazione sembra costituire un continuum delle foto. Guardando fuori dalle finestre del Consorzio di Bonifica potresti facilmente catturare stralci di vita e di paesaggio in perfetta analogia.
Mentre in piazza andava il rito in versione fotografica dell’uccisione del padre, nella sala Allende, coi genitori presenti, è stata celebrata la figura di Andy Rocchelli, fotoreporter ucciso nel Donbass dagli ucraini nel 2014. Al Si Festival c’era la serie delle sue foto a donne russe con cui il suo obbiettivo ha dialogato per promuoverle nel mondo e riscattare in qualche modo l’insoddosfazione di una vita. Non era un fotografo di guerra, Rocchelli, e l’inchiesta sulla sua deliberata uccisione sta incontrando ostacoli e reticenze di ogni genere. Un caso simile al Regeni, ma praticamente ignoto.
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