martedì 16 agosto 2022

IL PATAFFIO DI FRANCESCO LAGI SIAMO NOI. IL NOSTRO SGANGHERATO TEATRINO POLITICO. NELLE SALE DAL 18 AGOSTO

Non è stato certo il film più toccante o coinvolgente del Locarno Film Festival di quest’anno 2022, il settantacinquesimo della sua storia. Non ha preso neanche un premio. Neanche uno mini. Il Pataffio di Francesco Lagi, uno dei quattro lungometraggi italiani in concorso nella cittadina svizzera del lago Maggiore, è stato però quello nella cui visione il presente, per quanto mi riguarda, ha interferito di più.

La vicenda del gruppo di squinternati e improbabili alto-medievali che raggiungono, per insediarvisi, un feudo con relativo castello malconcio peggio di loro, un feudo ottenuto dal signore-capo della comitiva come dote matrimoniale, matrimonio non per amore, fin dalla prima scena mi ha insinuato una molesta apprensione. Figlia di un timore non so quanto giustificato: che la sala cosmopolita del festival vi intravedesse la solita Italia e i soliti italiani. Non solo cioè intruppati, pur senza un filo di solidarietà, straccioni e naturalmente pure cialtroni. Che ci può stare per fare ridere un po’. Ma anche mai seri neppure al cospetto dei propri inguaribili autolesionismo e tafazzismo.

Un film impudico, insomma, che sotto i costumi lerci, o presunti tali, di più di mille anni fa, ci deride agli occhi del mondo senza pietà con le smorfie di Franco & Ciccio e gli sghignazzi di Fo, ma molto seriamente. La caduta del governo Draghi per puro collasso etico-politico era di pochi giorni prima quel 6 agosto della proiezione. E si era in pieno tourbillon di alleanze e fregature a sinistra imposte e favorite dallo sciagurato rosatellum. Per dire, insomma, che forse ho travisato, ma mi perdonerete: ero decisamente vulnerabile...

Anche dopo che la vicenda mi ha catturato, non sono infatti riuscito a sciogliermi del tutto da quell’incantesimo all’incontrario dell’esordio. Anzi, la storia poi se n’è come intrisa, impedendomi per il resto del film di leggerla in modo diverso dalla triste allegoria delle nostre vicende politiche in corso e delle relative maschere.

Non sono il critico che vi racconta la trama. Mi limiterò quindi a dire che nei personaggi di Lagi ho visto incarnata la destra che inganna e s’incipria e la sgangherata e solipsistica sinistra Armata Brancaleone (il film di Monicelli subito evocato dalla critica come classico di riferimento). In mezzo, a giocarsela per proprio vantaggio e piacere personale, i mezzani e quelli che mandano avanti gli altri. Mediocri e calcolatori, oscillano tra i due estremi oppure si barcamenano guidati dalla stella polare del seggio sicuro.

Per dirla un po' più chiara nella prima mondiale del film di Lagi vedevo dibattersi vestiti di stracci ma nel modo altrettanto poco convincente, e non deludente solo perché (non so le lo sanno) non ti consentono neanche di illuderti, tutti i principali protagonisti della nostra pantomima politica a maggioranza maschile. Meloni, Salvini, Letta, Calenda, Renzi, Fratoianni, Berlusconi, più comparse come Carfagna, Di Maio, Gelmini. 

Li vedevo come recitano in questi giorni nelle varie vesti imposte dall’occasione, dalla convenienza personale ben vestita di retorica e dall’intervistatore e relativa testata, loro. Non, come invece nel film, il signore arrogante, doppio e vigliacco. E neppure il consigliere complice, sottomesso e schiavo del proprio aplomb, il padre spirituale ipocrita e manipolatore e il capopopolo doppiogiochista e bulimico. Un unico anelito di sogno o di visione c’è, nel Pataffio. Si dissolve però senza neanche un sospiro di speranza.

Dal 18 agosto anche in Italia, ma difficilmente contrasterà l’astensionismo...

Nessun commento:

Posta un commento