Siamo ad uno dei confini del mondo: l’artico russo. Dove va in scena la sofferenza dei viventi, animali e uomini, per la tragedia del clima che cambia e che il docufilm di Evgenia Arbugaeva e Maxim Arbugaev, Haulout (Regno Unito 2022, 25’) premiato come miglior docufilm al 95th Academy Awards (marzo 2023) ci esibisce in una sorta di post o pre apocalisse a voi la scelta. C’è lo stesso senso di desolazione e deserto di certe visioni distopiche alla Cormac Mc Carthy. In questa estremità della terra nella quale la natura dovrebbe imperare per l’assenza dell’uomo e invece regredisce o addirittura soccombe per colpa dell’uomo un ricercatore solitario assorto e frugale come un monaco è ripreso mentre studia col distacco dello scienziato, ma diremmo anche con la pena dello spettatore, la tragedia di migliaia e migliaia di trichechi intrappolati sulla terraferma a cui sono approdati esausti a causa dell’assenza del ghiaccio per ripartire e in grande quantità muoiono...
Benvenuti sulla scena di uno dei prodromi della grande estinzione dell’antropocene. I trichechi s’ammassano sulla terraferma per crogiolarsi, da cui il titolo Haulout, magari al sole, trasformando però in iperpopolamento quello che per loro dovrebbe essere solo un passaggio, forse quel tanto per procreare e allevare i cuccioli prima che s’immergano nelle gelide acque in direzione della propria autonoma esistenza. Invece l’haulout si traduce in un ammasso di corpi che non partono più e quindi molesti e nocivi l’uno l’altro e irritati come a volte gli umani nella ressa che rifiutano. Nel carnaio le loro stesse buffe e ingombranti zanne diventano micidiali.
E pur con tutta la crudezza e l’animalità del reale è difficile non pensare che assistiamo ad una metafora, perché in Haulout ci sono tutti gli ingredienti delle minacce alla umana sopravvivenza in atto e incombenti per via dei cambiamenti del clima combinati con popolamento estremo, carenza di risorse vitali come l’acqua, conflitti per il loro accaparramento e lotta sordida per la vita in una sorta di selezione poco naturale e molto antropologica in quanto a tutto vantaggio del più ricco o del più geograficamente fortunato. Come nel film anche per noi terrestri i giovani scalpitano e alcuni partono altri no, alcuni approdano altri muoiono.
E l’uomo, Maxim Chakilev, che da anni studia il comportamento dei grossi mammiferi dal muso simpatico e le zanne surreali, nel suo vivere da cenobitica in quell’estremo di mondo guarda e constata impotente. In quello scampolo del circolo polare artico ha contato fino a 100 mila esemplari in sosta e tuttavia in numero sempre maggiore condannati a causa di un ambiente che non è più il loro. E a quelle morti non può fare altro che assistere, allontanando quanto più possibile la propria minimale esistenza di uomo dalla disperazione degli animali, che deborda, rompe i confini tra le due specie. Forse dilagando nella sua stessa fiducia nel futuro.
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