lunedì 25 luglio 2022

IN CAMPO UOMINI E DONNE DEI TERRITORI E UNA RIVOLUZIONE NELLE CANDIDATURE: LA RICETTA DI BONACCINI A CESENA PER BATTERE LA DESTRA

"Abbiamo poco tempo”, esordisce Stefano Bonaccini, presidente Emilia-Romagna, intervistato sabato 23 luglio da Gerardo Greco al Festival dell’Unità di Cesena sulle prossime elezioni del 25 settembre 2022. E non basterà lo “spauracchio della destra” populista, orbanista, bolsonara, trumpiana e putinista per ribaltare una partita in cui “si parte sconfitti”: “di brutto”


Peggio, aggiungiamo noi, che nell’autunno del 2019 quando nella sua regione Bonaccini vinse sconfessando le proiezioni infauste di inizio campagna: Lucia Borgonzoni non era Giorgia Meloni e la Lega non la triade Lega, FdL e FI coalizzata per quanto malamente. E l'Emilia-Romagna non è l'Italia. Il rischio, torniamo alle parole di Bonacccini, è che la destra prenda i due terzi dei seggi e cambi la costituzione. Per non dire del fantasma del collasso greco sempre dietro l’angolo.

Ma non basteranno né le feste dell’Unità né lo “stare con le persone” né rivendicare la coerenza ai tre mantra emiliano-romagnoli: sostegno all’impresa, istruzione pubblica e sanità pubblica (non come in Lombardia). Si dovrà soprattutto procedere ad “un cambiamento profondo”. Con forte impatto simbolico. Perché “in Italia non si vince solo con i voti della sinistra” e, d’altra parte, io registro che una parte di questo paese, che a differenza mia non si definisce mai di sinistra, davanti ad una destra che ha rinunciato ad un'idea liberale, mi sta mandando messaggi in cui chiede una ragione per votare Partito democratico”.

Certo, “mai con questi Cinquestelle”, per quanto una parte della sinistra non intenda scaricarli. Inoltre, una agenda sociale va pensata. “Anche per partite Iva e autonomi...”, ma è sulla formula politica che bisogna lavorare e, pare ovvio, il modello che Bonaccini propone (“da esportare”) è quello emiliano-romagnolo. E non solo perché unisce tutti, da Calenda a Schlein, Renzi incluso, insomma i draghiani di ogni ordine e grado; ma anche perché da Piacenza a Budrio, da Cesenatico a Faenza e Imola in Emilia-Romagna il Partito democratico ha dimostrato che con una “proposta convincente la gente cambia idea”

Parola di Bonaccini: per me ha votato anche gente di destra perché mi ha visto come più rassicurante”. Con “le corde giuste” il miracolo di recuperare almeno una parte dei 10 punti di distacco è possibile, perché, ripete in svariate formule, “c’è una destra che potrebbe girare le spalle”.

Rassicurante perché? Ed eccoci così al punto centrale, e nevralgico, della proposta bonacciniana: in sintesi, secondo il presidente la forza di rottura della sinistra sta nei territori, “nelle risorse dei territori”, dove puntualmente (quasi) la sinistra vince per la qualità dei suoi candidati. Qualità che fa la differenza” e con la quale bisognerà giocarsi la partita “collegio per collegio”. 

Il che però implica due presupposti (mica facili, NdA): che il Partito democratico non sia diviso per correnti e che a nessuno dei mostri sacri del partito sia garantito nulla. Se ci sono dei leader si battano nei territori, non chiedano una situazione sicura. Facciano come Bonaccini: “Se avessi perso nel 2019 contro Borgonzoni non avevo colpe, ma la mia carriera si sarebbe chiusa lo stesso, perché comunque non avrei potuto fare l’opposizione. Prima delle elezioni avevo a disposizione un seggio in Europa, ma ci abbiamo inviato la vicepresidente Gualmini. Ciascuno di noi deve metterci la faccia, deve rischiare qualcosa...”


domenica 17 luglio 2022

CINEMA O SPOT? CULTURA O MARKETING? L'ELOGIATISSIMO "GLI URGONAUTI" NON CONVINCE


Vediamo finalmente Gli urgonauti, film realizzato prima della pandemia, proiettato  solo una sola volta all'Eliseo di Cesena e riproposto ieri nella cornice da fiaba della piazzetta Byron a Monteleone, Roncofreddo, per apprezzabile iniziativa di Ada Grilli, fotografa e animatrice culturale del delizioso borgo, ma ne siamo delusi. 

No, non certo per la recitazione su cui non siamo né maestri né, in questo caso meno che mai, giudici. L'idea, peraltro, di due giovani che dal mare di Gatteo, soprattutto per volontà di lei, puntano a risalire la storia, nel tempo e nello spazio e dalla foce alla sorgente, di quello che ritengono come il "vero" Rubicone, l'Urgon cesenate, fino ad incontrare Giulio Cesare prossimo a scagliarsi con le sue truppe sulla sua Roma, non può non piacere.

Quello che invece proprio non si può condividere è l'avere curvato una nobile idea, coinvolgente studenti (liceo Monti), un'Associazione (Pro Rubicone) e perfino una parrocchia (Budrio) ad un'operazione di marketing territoriale. Nello specifico a vantaggio del Comune di Sogliano al Rubicone.

Il cui Rubicone non è l'Urgon, che sfocia a Gatteo Mare col nome di Pisciatello, e a cui il film si riferisce, bensì l'ex-Fiumicino che Mussolini ribattezza nel '33 come Rubicone. Ne deriva che far passare Sogliano come origine dell'Urgon, come nel film avviene, ci sta, come si suol dire, come i cavoli a merenda. 

Perché è vero che sia il Fiumicino-Rubicone sia l'Urgon-Pisciatello nascono nello stesso posto più o meno all'interno del vastissimo territorio della città di Sogliano. Ma è anche vero che il secondo  si allontana dalla medesima città praticamente subito con un grande arco nord-ovest prima di ripiegare verso il mare, oggi presumibilmente senza una goccia d'acqua.

La verità  geografica è insomma che saluta Sogliano fin dal suo primo vagito come per prenderne immediatamente le distanze, fornendo così  a noi posteri il destro per discutere per l'eternità su quale sia il Rubicone di Cesare. E la geografia non è un'opinione.

Gli autori del docu-film, però, non si sono limitati a maltrattare questa materia scolastica già  abbastanza maltrattata. Hanno fatto di peggio: l'hanno arrangiata al servizio di un brand, quello del formaggio di fossa. Un pasticcio pazzesco, avrebbe commentato Fantozzi.




giovedì 14 luglio 2022

SULL'EX-LAZZARETTO CESENATE MANCA ANCHE LA COERENZA AMMINISTRATIVA. NON SOLO IL COMITATO COME PER IL PALAZZACCIO O L'INTERESSE DEI CITTADINI


Nella diatriba sulla vendita di quello che fu il lazzaretto cesenate manca un ingrediente. Che non è, come afferma il sindaco Enzo Lattuca sul Corriere di Romagna, un comitato insorto per la sua preservazione come nel caso del Palazzaccio del Quartiere Fiorita, assente invece in relazione a quest’altro manufatto storico. E neppure l’interesse, nullo, della collettività. È la logica. Come può essere che a luglio 2021 il sindaco concorda con la Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena uno studio in tempi celeriper il recupero, recita il Comune stesso, “dell’intera cinta muraria cesenate, inclusi anche gli immobili di “Porta Fiume”, “Ex Lazzaretto”, “Rocca Nuova” e “Rocca Vecchia” per un totale  di quasi quattro km poi però cinque mesi dopo lo stesso sindaco infila un frammento significativo di quella stessa cerchia storica in un processo di alienazioni? Non si scorge coerenza tra queste due decisioni.

“Sono quasi quattro km che con piccoli modesti interventi possono diventare tutti o quasi percorribili -Daniele Vaienti, il presidente dell’Università della Terza Età, che subito ha sollevato la questione, ci rende edotti riguardo al quadro complessivo dentro cui essa va collocata, e dentro il quale Lattuca era parso operare, contraddicendosi però cinque mesi dopo. “E dal momento che diventano percorribili -continua lo studioso che in materia di itinerari turistici andrebbe maggiormente consultato -compresa la salita alla Rocca e la discesa dall’altra parte” (più tant’altro che ci illustra nel dettaglio comprendente naturalmente anche il Lazzaretto) diventerebbe una cosa da leccarsi i baffi".

"Non siamo Lucca o Ferrara e nemmeno Montagnana -conclude- ma potremmo tranquillamente entrare nel novero delle città murate, perché le interruzioni sarebbero poche e in alcuni casi superabili. In via Aldini, per esempio, con una passerella aerea di 10-15 metri tu unisci un percorso che fu interrotto nel primo tratto di viale Carducci e si ricongiungerebbe al secondo. Diventando così il luogo di una passeggiata come del resto sarebbe stato nei Giardini Savelli se non avessero costruito quell’orrendo fabbricato che nasconde le mura e un tratto di passaggio sopra le mura dove ci sono dei lecci bellissimi che pochissimi cesenati conoscono perché è chiuso. C’è un cancello da aprire...”

Aggiunge Vaienti che “è una questione culturale”. Anche politica, però, sulla base del semplice assunto per cui, se si crede in un progetto, bisogna dimostrarlo con azioni coerenti.



domenica 3 luglio 2022

NASCITA VITA E MORTE DI UN CENTRO CINEMA, IL SAN BIAGIO DI CESENA

Giovedì 7 luglio Daniele Gualdi, docente, assessore alla cultura cesenate, ex-presidente di Ert (Bonci), attuale presidente di Riccione Teatro e massimo ispiratore della stagione più viva del Centro Cinema S. Biagio di Cesena, presenterà il suo libro Che belli erano i film. I miei anni al San Biagio, Ponte Vecchio, che narra il fermento cesenate per il cinema e intorno al cinema, di cui egli fu interprete tra il 2002 e il 2011, ma che oggi è ormai storia morta e sepolta. Ebbene, speriamo che l’appuntamento offra anche l’occasione per rispondere a qualche domanda. Che cosa è rimasto a Cesena di quella stagione? Che cosa si prospetta per il futuro oltre all’attuale presente all’insegna di una nebbia felliniana?

Il complesso del S. Biagio, in via Aldini, Cesena, presso le mura del centro storico, è un ex convento di proprietà di un ente assistenziale, i cui spazi sono stati in parte assorbiti dall’amministrazione comunale, rosicchiando in affitto metri quadrati agli appartamenti dell’ente che si andavano via via liberando. Per metterci molte cose: l’assessorato, sedi di scuole e associazioni, teatri, una pinacoteca cittadina e, in particolare, il Centro Cinema cesenate. Che però oggi sta alla Biblioteca Malatestiana, non più in via Aldini. Il S. Biagio non esiste più.

Nel tempo le quasi duecentomila foto di scena alimentate da donazioni e dal concorso CliCiak che stavano al S.Biagio sono andate a rimpolpare il patrimonio fotografico della biblioteca. Smisurato al punto che, in una chiacchierata ormai lontana, estate 2019, l’assessore alla cultura Carlo Verona appena insediato esibiva per noi una visione senza poi seguito. “Vorrei -recitava- far crescere il patrimonio perché la fotografia caratterizzasse Cesena diventando un elemento distintivo, per esempio, rispetto a Rimini e Ravenna”, ma torniamo al trasloco....

Sempre alla Malatestiana sono stati già da tempo ricavati gli spazi destinati alla didattica cinematografica, al cui servizio probabilmente opererà proprio la sala da 49 posti inaugurata quest’anno; mentre la videoteca sta già lì da quel 14 dicembre 2013 in cui l'istituzione pluricentenaria riaprì al pubblico tutta nuova, benché solo in parte. E addirittura, a seguito di un accordo che a Cesena costava diverse decine di migliaia di euro l’anno, dal 2015 al 2021 la regia stessa del Centro Cinema è andata altrove: alla Cineteca di Bologna. Strappando parole di fuoco per l’“errore gravissimo” all'ex-assessore Roberto Casalini. Il Centro Cinema, come ebbe a sottolineare, era “il primo istituto costruito a Cesena dopo la scuola di musica del Corelli, che è di due secoli prima”. Il mitico assessore lo volle per “acculturare la città sulla settima arte ed apprezzarne i prodotti in modo critico“.

L’atto finale del trasloco è da commedia delle parti e si svolge in piena pandemia. Il gestore delle due sale di via Aldini, Cineforum Image, finita la sua stagione partita nel maggio 2011, si sarebbe portato via i proiettori digitali (secondo il Comune). Nient’affatto (secondo Cineforum) essendo l’attrezzatura da essi stessi acquistata al costo di 120 mila euro. Poi, come in ogni commedia, a quanto pare i due hanno fatto pace e oggi tutto tace in via Aldini e il nome S. Biagio ritorna solo per l’arena estiva che col S. Biagio non c’entra nulla: né riguardo all’organizzazione né al luogo. Chiuso il sipario...

Che però per qualche cesenate non è l'epilogo di una commedia. É pura tragedia. “Quelli come noi che hanno lavorato nella cultura –ci recitava tre anni fa un decano come Franco Bazzocchi che con Gualdi lavorò spalla a spalla negli anni ruggenti- si sentono delusi e scoraggiati. Si tratta solo di capire se si può tornare indietro e recuperare tutto un patrimonio di idee e contenuti”. Sociologo, dall’’81 nei ranghi del Comune, dal decennio ‘90 Bazzocchi è caposervizio della cultura, carica che copre appunto nella stagione di Gualdi. Che Bazzocchi, e non solo, ricorda con "un ego fortissimo, anche da contenere, ma che noi sfruttavamo per la sua forza in incontri con registi e attori assediati letteralmente fino allo sfinimento per farli venire a Cesena”.

Manco dirlo, anche per Bazzocchi, quando con lui conversammo, il “peccato originale” alla base della dissolvenza del S. Biagio stava nella trasformazione della Biblioteca Malatestiana in un’istituzione “in cui si fa di tutto... così che oggi se non si fa lì non si fa da nessuna parte”. Si è divorato anche il S. Biagio. Quanta invidia per la Rimini che, recuperando il Fulgor di Fellini, il Teatro Galli e la Rocca Malatestiana, imita le metropoli italiane e europee con la moltiplicazione dei poli culturali. Quanto rimpianto per quel trentennio aureo di via Aldini illustrato nella pubblicazione Centro Cinema Città di Cesena 1979-2009 a cura di Antonio Maraldi, Franco Bazzocchi e Giulia Quintabà.

Che però tra il 2011 e il 2017 declina prima di tutto a causa dell’impoverimento delle risorse umane che imprimevano vita all’istituzione, privandola quindi di competenze preziose.

Angela Gorini, classe 1972, laurea al Dams di Bologna, un vero bolide in materia di eventi culturali, arte, foto e cinema è una di queste. Attiva nei ranghi del Centro Cinema per nove anni, per via Aldini “la sua defenestrazione –rimarca chi l’istituzione la conosce bene- fu un fatto mortale perché era intrinseca al meccanismo per le sue conoscenze di fotografi, fondi, archivi...”.

La vittima pubblicherà pure una veemente invettiva per lo scorno subito. “Si spazza via un lavoro fatto con coscienza e professionalità - tuonava tra l’altro- che ha conquistato la fiducia dei professionisti del settore che si sono avvicinati, affezionandosi al Centro Cinema, riconoscendo la qualità delle sue attività e modalità organizzative”.

Risposta (in sintesi, sulla base di interventi sul tema) del sindaco Enzo Lattuca e del suo assessore alla cultura Carlo Verona: la proposta cinematografica cesenate nella sostanza non ha perso nulla, perché col progetto di Cesena Cinema (che era il titolo del nuovo corso del cartellone cittadino di film targato Cineteca di Bologna) sono state avviate iniziative di formazione di cittadini, studenti e prof, e si sono coinvolte tutte le sale cesenati in una programmazione settimanale di proiezioni includenti pure rassegne e partecipazioni di registi e attori ed esperti (come Gualdi), in particolare alla Multisala Eliseo e, siatene certi, quanto prima pure al S. Biagio. Che dopo un restauro, previo placet della Sovrintendenza, risorgerà dalle sue ceneri come sala, come si diceva una volta, d’essai. Per partecipare insieme agli altri all’offerta.

Già, ma è credibile? Le sale cittadine non sono già abbastanza vuote in occasione di ogni genere di proiezione senza che entri in lizza pure il comune con le sue? Non sarà invece che il Centro Cinema S. Biagio di Cesena è semplicemente defunto. Un cinemicidio come tanti, dopotutto. Forse addirittura una necessaria eutanasia. E tanta nostalgia. Ma guai a dirlo chiaro.