Di
primo impatto (ma si sono impegnati ad un prossimo incontro più esaustivo con rumagnacumclajè)
i Vigili del Fuoco di Forlì, di fronte al ricorrere di eventi come l’incendio
alla Campomaggi & Lucchi di San Carlo (Cesena) e alla Lotras faentina,
obbiettano che sono pochi gli eventi del genere, cioè a carico di imprese. Ne
abbiamo contati una decina di simile consistenza tra il 2013 e il 2020. E in
effetti in rapporto alle svariate centinaia di battaglie col fuoco che a
livello provinciale impegnano ogni anno (oltre ottocento su 5000 emergenze
complessive e 893 al giorno a livello nazionale nel 2017) appaiono
episodici, ma... come dire? Meno male. Immaginiamone una maggior frequenza nel
raggio considerato: tra Faenza e Cesena. In aggiunta cioè alla Lotras
(agosto 2019) e alla Campomaggi & Lucchi (gennaio 2020), alla cava della Recywood
(agosto 2018), alla Longiano imballaggi (aprile 2017), alla Grillo (7 dicembre
2017). Vediamo il primo della serie.
L’incendio
faentino Lotras scoppia all’una del mattino dell'8 agosto dell'anno scorso nel
magazzino di via Deruta e si configura subito come “una polveriera difficile da
domare” (dalla stampa locale a caso) perché i materiali coinvolti sono tanti e
vari. Quindici squadre dei Vigili del Fuoco da tutta la provincia e, forse,
dalla Regione. Esce fumo chiaro e nero, ma non è un conclave papale. Ci sono
“oli” (3-4mila ettolitri) e “materiali plastici”. Più bancali di legno e pure
il vento che danno una mano. Al fuoco naturalmente ovvero a “un’immensa nuvola
di fiamme e fumo visibile a km e km” per la cui gestione parteciperanno, oltre
ai pompieri, “Vigili del Fuoco, Prefettura, Comune, Arpae, Protezione civile,
Ausl, volontari” come ricapitolerà qualche giorno dopo (23
agosto) Samuele Marchi sul faentino ilbuonsenso.net. Scatta
l’allarme diossina e, per una parte dei faentini, a non uscire di casa, non
fare sport all’aperto, lavare gli ortaggi degli orti cittadini. Stop per
qualche ora ai treni sulla Faenza–Ravenna. Alle 18,30 del 9 gennaio è spenta
solo metà dell’incendio, nonostante gli elicotteri che prendono l’acqua da
un lago vicino e “tutti i mezzi dei Vigili del Fuoco disponibili in azione”
dice il sindaco faentino Giovanni Malpezzi. Sindaco che descrive il tutto come
una “terribile devastazione”. Inizia naturalmente anche la geremiade della
solidarietà, del dolore e degli impegni a ricominciare presto…
Due settimane dopo però, chiusa la fase emergenziale durata più
di dieci giorni, arriva il conto: undici giorni di guerra col fuoco, 21 mila
metri quadrati di magazzino in fiamme, centinaia di persone coinvolte giorno e
notte nello spegnimento, svariati milioni di euro, quasi quindicimila metri
cubi al giorno di “rifiuti liquidi” prelevati per non inquinare campi, canali
e, in ultima istanza, il mare con anche la necessità di isolare l’area
coinvolta, perché un’eventuale acqua piovana “entrerebbe in contatto con i
materiali inquinanti, ossia i residui dell’incendio, ancora presenti” mettendo
”a rischio nuovamente i canali”. Anche qui imprese e
addetti impegnati per settimane giorno e notte. E poi naturalmente
l’inchiesta a tutti i livelli, a cominciare dalla magistratura, e gli
interrogativi sugli effetti ambientali in particolare riguardo alla
contaminazione dei cibi (altro che lavarli!) e alla bonifica di terre e acque
coinvolte. E poi le congetture sulle cause. Che, comunque, sia chiaro fin da
ora, non si scoprono mai.
L’unica
testimonianza di cui la rete porti memoria di un processo avviato su fuoco e
fiamme ai danni di luoghi e cose commercial-industriali riguarda un evento del
8-9 marzo 2013 a carico del centro commerciale Il Gigante di Pieveacquedotto
(San Giorgio), presso Forlì e presso la Milano-Taranto, con vigili anche da
Ravenna, Cesena e Rimini e coinvolgimento di 7-8 capannoni sui venti in cui
lavorano una dozzina di imprese. Una notte di lotta col fuoco, svariati milioni
di danni, attività chiuse e/o costrette ad emigrare, ma il dibattimento partito
nel 2016 sulla base di presunte «violazioni di norme relative alla sicurezza e
alla prevenzione» a carico di sei con tanto di una decina di parti civili
“titolari o gestori di negozi devastati dall’incendio” è ancora in corso e,
secondo uno degli imputati, all’alba del 2020 promette di finire in nulla. Del
resto secondo l’annuario dei Vigili del Fuoco il 62% degli 325.941
tra incendi ed esplosioni accaduti nel 2017 resta senza un perché. La natura
distruttiva dell’evento ne spiega le ragioni. Pure a Faenza infatti c’è chi già
ad occhio definisce «quasi impossibile» l’impresa di approdare alla causa
prima…
Certo è invece il temporaneo
soccorso pecuniario di circa 2-3 milioni probabilmente pubblici. In attesa dei
dati Ausl Romagna sulle possibili contaminazioni degli alimenti (frutta e
verdura, ma anche uova, latte e carne) in particolare a causa della diossina
emessa e riscontrata a livelli elevati nell’arco di un po’ di ore dei giorni
immediati all’incendio. Si lavora inoltre sodo allo svuotamento di un “bacino
di laminazione del Comune” dall’inquinante temporaneamente lì dirottato, presso
il quale non mancano peraltro allarmi di moria di animali. Lavoro di mesi, non
ore. E poi, ultimo ma non meno importante: in tempo di lotta ai gas serra
quanta CO2 aggiuntiva avrà prodotto? (continua)
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