giovedì 30 gennaio 2020

L’INCENDIO ALLA LOTRAS DI FAENZA NON È UN INCENDIO E BASTA. INQUINAMENTO, DIOSSINA, CO2, MILIONI DI EURO PUBBLICI E PRIVATI IN FUMO, MORIA DI ANIMALI, POSSIBILI CONTAMINAZIONI DI ALIMENTI, GUERRA CONTRO IL TEMPO PER CONTENERE I LIQUIDI INQUINANTI, CORPI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA MOBILITATI. ACCADE APPENA CINQUE MESI PRIMA QUELLO ALLA CAMPOMAGGI & LUCCHI, MA PRESUMIBILMENTE LE CAUSE NON SARANNO CON CERTEZZA INDIVIDUATE PER NESSUNO DEI DUE. COME NEPPURE PER LA CAVA DELLA RECYWOOD A FAENZA E PER LA LONGIANO IMBALLAGGI SULLA VIA EMILIA (seconda puntata)

Di primo impatto (ma si sono impegnati ad un prossimo incontro più esaustivo con rumagnacumclajè) i Vigili del Fuoco di Forlì, di fronte al ricorrere di eventi come l’incendio alla Campomaggi & Lucchi di San Carlo (Cesena) e alla Lotras faentina, obbiettano che sono pochi gli eventi del genere, cioè a carico di imprese. Ne abbiamo contati una decina di simile consistenza tra il 2013 e il 2020. E in effetti in rapporto alle svariate centinaia di battaglie col fuoco che a livello provinciale impegnano ogni anno (oltre ottocento su 5000 emergenze complessive e 893 al giorno a livello nazionale nel 2017) appaiono episodici, ma... come dire? Meno male. Immaginiamone una maggior frequenza nel raggio considerato: tra Faenza e Cesena. In aggiunta cioè alla Lotras (agosto 2019) e alla Campomaggi & Lucchi (gennaio 2020), alla cava della Recywood (agosto 2018), alla Longiano imballaggi (aprile 2017), alla Grillo (7 dicembre 2017). Vediamo il primo della serie.
L’incendio faentino Lotras scoppia all’una del mattino dell'8 agosto dell'anno scorso nel magazzino di via Deruta e si configura subito come “una polveriera difficile da domare” (dalla stampa locale a caso) perché i materiali coinvolti sono tanti e vari. Quindici squadre dei Vigili del Fuoco da tutta la provincia e, forse, dalla Regione. Esce fumo chiaro e nero, ma non è un conclave papale. Ci sono “oli” (3-4mila ettolitri) e “materiali plastici”. Più bancali di legno e pure il vento che danno una mano. Al fuoco naturalmente ovvero a “un’immensa nuvola di fiamme e fumo visibile a km e km” per la cui gestione parteciperanno, oltre ai pompieri, “Vigili del Fuoco, Prefettura, Comune, Arpae, Protezione civile, Ausl, volontari” come ricapitolerà qualche giorno dopo (23 agosto) Samuele Marchi sul faentino ilbuonsenso.net. Scatta l’allarme diossina e, per una parte dei faentini, a non uscire di casa, non fare sport all’aperto, lavare gli ortaggi degli orti cittadini. Stop per qualche ora ai treni sulla Faenza–Ravenna. Alle 18,30 del 9 gennaio è spenta solo metà dell’incendio, nonostante gli elicotteri che prendono l’acqua da un lago vicino e “tutti i mezzi dei Vigili del Fuoco disponibili in azione” dice il sindaco faentino Giovanni Malpezzi. Sindaco che descrive il tutto come una “terribile devastazione”. Inizia naturalmente anche la geremiade della solidarietà, del dolore e degli impegni a ricominciare presto…
Due settimane dopo però, chiusa la fase emergenziale durata più di dieci giorni, arriva il conto: undici giorni di guerra col fuoco, 21 mila metri quadrati di magazzino in fiamme, centinaia di persone coinvolte giorno e notte nello spegnimento, svariati milioni di euro, quasi quindicimila metri cubi al giorno di “rifiuti liquidi” prelevati per non inquinare campi, canali e, in ultima istanza, il mare con anche la necessità di isolare l’area coinvolta, perché un’eventuale acqua piovana “entrerebbe in contatto con i materiali inquinanti, ossia i residui dell’incendio, ancora presenti” mettendo ”a rischio nuovamente i canali”. Anche qui imprese e addetti impegnati per settimane giorno e notte. E poi naturalmente l’inchiesta a tutti i livelli, a cominciare dalla magistratura, e gli interrogativi sugli effetti ambientali in particolare riguardo alla contaminazione dei cibi (altro che lavarli!) e alla bonifica di terre e acque coinvolte. E poi le congetture sulle cause. Che, comunque, sia chiaro fin da ora, non si scoprono mai.

L’unica testimonianza di cui la rete porti memoria di un processo avviato su fuoco e fiamme ai danni di luoghi e cose commercial-industriali riguarda un evento del 8-9 marzo 2013 a carico del centro commerciale Il Gigante di Pieveacquedotto (San Giorgio), presso Forlì e presso la Milano-Taranto, con vigili anche da Ravenna, Cesena e Rimini e coinvolgimento di 7-8 capannoni sui venti in cui lavorano una dozzina di imprese. Una notte di lotta col fuoco, svariati milioni di danni, attività chiuse e/o costrette ad emigrare, ma il dibattimento partito nel 2016 sulla base di presunte «violazioni di norme relative alla sicurezza e alla prevenzione» a carico di sei con tanto di una decina di parti civili “titolari o gestori di negozi devastati dall’incendio” è ancora in corso e, secondo uno degli imputati, all’alba del 2020 promette di finire in nulla. Del resto secondo l’annuario dei Vigili del Fuoco il 62% degli 325.941 tra incendi ed esplosioni accaduti nel 2017 resta senza un perché. La natura distruttiva dell’evento ne spiega le ragioni. Pure a Faenza infatti c’è chi già ad occhio definisce «quasi impossibile» l’impresa di approdare alla causa prima…

Certo è invece il temporaneo soccorso pecuniario di circa 2-3 milioni probabilmente pubblici. In attesa dei dati Ausl Romagna sulle possibili contaminazioni degli alimenti (frutta e verdura, ma anche uova, latte e carne) in particolare a causa della diossina emessa e riscontrata a livelli elevati nell’arco di un po’ di ore dei giorni immediati all’incendio. Si lavora inoltre sodo allo svuotamento di un “bacino di laminazione del Comune” dall’inquinante temporaneamente lì dirottato, presso il quale non mancano peraltro allarmi di moria di animali. Lavoro di mesi, non ore. E poi, ultimo ma non meno importante: in tempo di lotta ai gas serra quanta CO2 aggiuntiva avrà prodotto? (continua)

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