giovedì 6 febbraio 2020

FORLÌ-CESENA È LA PROVINCIA ROMAGNOLA COL PIÙ ALTO NUMERO DI INCENDI. NON SOLO BOSCHIVI. ANCHE DI AZIENDE. I PIÙ IMPATTANTI SUL TERRITORIO E SULLA SALUTE. LE CAUSE RARAMENTE SI INDIVIDUANO

di Tiziana Lugaresi


Capannone Longiano Imballaggi, incendio 2017


Come si evince dalle statistiche del Corpo dei Vigile del fuoco gli incendi e le esplosioni in generale sono in aumento. I dati più aggiornati risalgono al 2017 e parlano chiaro: sono cresciuti a livello nazionale rispetto all’anno precedente del 33,7% e in Emilia Romagna del 32,3%. Ed è sconcertante constare che nella provincia di Forlì-Cesena la medesima tipologia di eventi è aumentata del 41,4% nello stesso periodo. 

Il cuore della Romagna, pertanto, se non è terra di fuochi, certo sembrerebbe esserlo di incendi. Anche per l’anno appena trascorso sulla stampa ci si trova di fronte ad un elenco lunghissimo. Nella maggior parte dei casi sono eventi subito circoscritti e domati grazie alla tempestiva ed efficace opera dei vigili del fuoco e delle altre forze dell’ordine, e sono soprattutto incendi boschivi. Anche di tutt’altro genere però: dalle auto ai furgoni, dalle roulotte agli autoarticolati, dai trattori agli autobus di linea, dai garage alle cantine, dai capannoni agricoli alle attrezzaie agli stabilimenti balneari. Perfino le imbarcazioni. Per non parlare degli appartamenti, i cui roghi appiccati in solai, tavernette, cucine, balconi, lavanderie per fortuna solo in pochi casi hanno avuto esiti drammatici per le persone.

Il fuoco distrugge anche, ma con impatti più devastanti, aziende di produzione: in particolare di imballaggi, pellami, di stoccaggio biomasse o di depositi rifiuti, ma non ne sono immuni strutture di interesse pubblico come il depuratore di Cesenatico o l’impianto di compostaggio della Busca (l’altro giorno). In questo caso, però, e qui arriviamo al punto, il danno non si ripercuote solo sui lavoratori coinvolti e sull’imprenditore, come vorrebbero farci intendere i corifei politici e giornalistici, ma anche sulla collettività. I milioni di euro stanziati dalla Regione e dai Comuni per le bonifiche ambientali resesi necessarie dopo gli incendi più devastanti non vengono forse dalle tasche dei contribuenti? Si cercano cause e responsabilità ma nella stragrande maggioranza dei casi non si arriva a nulla.

E poi c’è l’aspetto più importante: quello delle ricadute sulla salute delle persone. Con buona pace di Arpae, che, sempre solerte con i suoi sempre presenti (pochi) operatori sui luoghi dei disastri monitora l’eventuale inquinamento dell’aria e delle acque, ma i responsi, quasi fossero dei semplici copia incolla, si ripetono quasi sulla stessa falsariga, e mirano evidentemente a rasserenarci, tanto son benevoli. Tanto più che nei comunicati spesso compare la favorevole circostanza dei venti che vanno
verso l’alto (quando si dice essere fortunati) e come una mano santa trasportano i veleni lontano. A far danni comunque altrove.

La verità invece è che “ogni processo di combustione produce sostanze inquinanti, e soprattutto anidride carbonica, uno dei gas responsabili del cosiddetto effetto serra”. (“Enciclopedia Treccani). Non ci si venga pertanto a raccontare che questi continui roghi di materiali anche molto pericolosi non producano effetti sulla qualità della nostra aria già così pesantemente compromessa e quindi sulla nostra salute.

E siccome, come riporta un’ampia letteratura, le cause accidentali costituiscono una percentuale minoritaria rispetto ad altre dolose o comunque legate a comportamenti umani, includenti l’inadeguata prevenzione, gli interrogativi sono i seguenti. Non siamo forse in un territorio avanzato per cultura, rispetto delle regole e comportamenti responsabili? Un luogo dove i sistemi di protezione sono da tempo adottatati? Dove i procedimenti costruttivi sono all’avanguardia? E le corrette manutenzioni, l’uso di tecnologie di prevenzione garantite? E il concetto di responsabilità sociale d'impresa diffusamente acquisito?

Nessun commento:

Posta un commento