lunedì 18 marzo 2024

PERCHÉ LA PRESENZA NEI RANGHI AMMINISTRATIVI E DELLE ISTITUZIONI CIVILI ASSOCIATE ALL'AMBIENTE E ALLA SOSTENIBILITÁ DI AMBIENTALISTI CON FUNZIONI TECNICHE NON HA IMPEDITO ALL'EMILIA-ROMAGNA DI FIGURARE IN TESTA NELLA GRADUATORIA DEL CONSUMO DEL SUOLO? RISPOSTA: OGGI IL PRESIDENTE DELL'EMILIA-ROMAGNA BLOCCA, A SEGUITO DEI DISASTRI CAUSATI DALL'ALLUVIONE DEL MAGGIO 2023, NUOVE E DA TEMPO CONTESTATE URBANIZZAZIONI E ANNUNCIA LA NECESSITÁ DI CAMBIARE ROTTA NELLE PREVISIONI EDIFICATORIE, MA IERI ERA PROPRIO LA POLITICA CHE MINAVA DIVIETI E LIMITI EDIFICATORI IN SPAZI SCONSIGLIATI E IL TEORICO FRENO DELLA LEGGE URBANISTICA REGIONALE SUL CONSUMO DEL SUOLO DEPOTENZIANDO L'AZIONE DEL CONSORZIO DI BONIFICA E SOPRATTUTTO DELL'AUTORITÁ DI BACINO E DIMENTICANDO IL RUOLO CENTRALE DELLA COLLINA E DELLA MONTAGNA, LE CUI FERITE PERALTRO RESTANO ANCORA OVUNQUE VISIBILI, NELLA GESTIONE DELL'ASSETTO IDROGEOLOGICO REGIONALE


Cesena, area ex-zuccherificio presso il Savio

Tanta costruttiva presenza ambientalista negli organi politici, amministrativi e della società civile dell'Emilia Romagna non ha impedito alla regione, all'indomani dell'alluvione del maggio 2023, di essere imputata, pur riconoscendo l’attenuante dell’eccezionalità dell’evento meteorologico, per il consumo di suolo, oltre che per l’insufficiente cura dei suoi crinali a ridosso della pianura e per avere costruito o intender costruire in aree inadatte. Aree magari allagate durante il disastro. In particolare, istituzioni regionali quali il Consorzio di bonifica e l'Autorità di bacino sono accusate di aver deragliato rispetto ai propri compiti per eccesso di sottomissione alla politica. La stessa volontà del presidente della regione Stefano Bonaccini di bloccare edificazioni contestatissime da un certo mondo ambientalista nel faentino e a Castel Bolognese, annunciando contestualmente l’intenzione di cambiare rotta in materia di previsioni edilizie, parrebbe confermare la fondatezza delle critiche. 


Certo, l'ambientalismo emiliano-romagnolo, come registra Ivano Togni, attivista del WWF e presidente fino al 2013-14 della sezione cesenate, ha le sue colpe, perché ha perso da un po’ “la percezione bio-regionale del territorio” e il fatto che sia costituito da “vasi comunicanti" e che quindi “i luoghi naturali vanno difesi a denti stretti anche se non cabita nessuno”. In altre parole ci si riduce soprattutto “a fare ambientalismo cittadino". "Si strilla magari per potature eccessive o per il taglio dei lecci davanti alla Malatestiana a Cesena, ma il Fumaiolo disboscato, poiché è fuori dall’occhio dell’ambientalismo, è ok”. Un’involuzione, sicuramente, ma resta inoppugnabile l’evidenza che in Emilia-Romagna chi invoca la sostenibilità come mantra è l’opposto dell’identikit disegnato dal generale Roberto Vannacci in “Il mondo al contrario”, quando descrive “gli ambientalisti dell’ultima ora” come “monaci integralisti che predicano forme di vita ascetiche" e "che tanto anelerebbero, in base a quanto ci propinano, al ritorno al buon selvaggio. Ripudiano il benessere prodotto dal progresso e tornerebbero, a parole, a vivere felicemente in osmosi con la Natura come tutti gli altri esseri del Creato.". Niente di più falso.

L’ambientalismo emiliano-romagnolo non solo non è affatto il partito dei no, ma anche è entrato, come si suol dire, nella stanza dei bottoni. Sauro Turroni, classe ‘47, architetto, una vita per l’ambiente, politico a 360 gradi, Camera e Senato incluse, sempre all'insegna del green, è stato attivo anche negli uffici delle amministrazioni di Cervia, Cesena e regionali. Nella sua lunga e articolata carriera ha unito battaglie di contrasto ma anche operatività costruttiva, contribuendo alla creazione di parchi, piani paesisitici, proposte di legge. Silvia Zamboni, giornalista ambientale, è consigliera regionale a Bologna eletta all’interno della coalizione che ha portato Bonaccini alla vittoria nel dicembre 2019, rivestendo la carica di vice-presidente del Consiglio regionale e ottenendo anche incarichi di relatrice di maggioranza per progetti di legge ambientalmente molto qualificanti quali, per esempio, quello sui distretti del biologico. Dal 2001 Fausto Pardolesi, geometra e, sulla base del suo stesso curriculum vitae, conquistato a partire dagli anni ‘80 alla causa della gestione dei fiumi romagnoli secondo finalità rivolte “al recupero degli spazi alla espansione fluviale, alla rinaturalizzazione dell’ecosistema fluviale, alla fruibilità di parti di alvei e argini”, voltando le spalle alla politica della “regimazione spinta di alcuni alvei del territorio romagnolo”, è Responsabile dell’Assetto Idraulico del Servizio Tecnico di Bacino Fiumi Romagnoli con sede a Forlì. Sono solo gli esempi più in vista, ma una trimurti del genere nella Lombardia destrorsa da un trentennio é semplicemente inconcepibile

Detto questo, ci si chiede che cosa abbia impedito a figure così che dopo l’alluvione l’Emilia Romagna fosse rappresentata non solo come vittima del cambiamento climatico e della tropicalizzazione del meteo, ma anche come complice per via del terzo posto per consumo di suolo dopo Lombardia e Veneto e il primo per cementificazione in aree alluvionali, con in specifico città come Ravenna in cima in questa deprecabile classifica. Perché?

La risposta di Daniele Domenichini, politicamente lontano dal centro-sinistra, ma iscritto al WWF, oltre che ingegnere strutturista operativo per decenni con funzioni dirigenziali nel Consorzi di bonifica della Romagna sia nella sua versione tripartita tra Forlì, Cesena e Rimini, sia in quella unificata, è netta. Primo, la montagna è stata abbandonata perché ci vivono poche persone e infatti dall’alluvione del maggio ne è uscita distrutta, ma è lì che bisogna intervenire”. Eppure non lo si fa. Secondo, esiste un Piano stralcio di Bacino che in passato si occupava solo dei fiumi romagnoli ed oggi anche del Po e è “sovraordinato”, nel senso che le amministrazioni locali si devono attenere ad esso, perché contiene “tutte le problematiche idrauliche” e tutte le informazioni su come e dove impedire gli allagamenti. Poi, però, ad esso non si attengono. 

Per esempio, riguardo a Cesena non solo si sapeva benissimo che il tratto urbano del Savio tra il Ponte Vecchio e il Ponte Nuovo era a rischio anche per l’inadeguatezza del Ponte Nuovo, e che il Ponte della ferrovia più avanti “andrebbe rifatto” oltre al fatto che erano previste sette vasche di laminazione a monte per ridurre la piena, ma "ne è stata fatta una sola, che ha lavorato solo in parte”. Ma anche è avvenuto che i tecnici del Piano Stralcio di Bacino, tecnici capaci e sicuramente di grande esperienza e competenza, hanno dovuto fare i conti con un “livello sovraordinato” di natura informale, perché costituito da un “connubio deleterio tra politica e potere economico”. Questo livello, godendo di una sostanziale impunità, ottiene a Cesena come altrove di costruire dove non si dovrebbe. Magari con qualche compromesso tecnico ritenuto sulla carta sufficiente ad impedire disastri. “A Cesena ci sono state case allagate costruite dove non si doveva. Anche negli ultimi anni. Addirittura case di legno, che ora sono da buttare...”

Fausto Pardolesi, indicato nei giorni della tragedia da Angelo Bonelli, co- portavoce di Europa Verde, come presidio all’interno della buona amministrazione dei fiumi romagnoli, alla domanda di quali ostacoli abbiano impedito a figure come la sua di incidere di più e meglio nelle scelte ambientali dell’Emilia-Romagna e contenere i disastri del 16-17 maggio 2023, risponde invece con una distinzione.

 “Le casse di contenimento sul Ronco e altrove sul Montone e sul Rabbi, a monte della via Emilia, hanno funzionato, ma in gioco c’erano 16 milioni di mc usciti dagli argini riguardo al Rabbi e 20 milioni riguardo al Ronco. La sicurezza assoluta non c’è. Oltre alle casse di espansione hanno lavorato quelle involontarie, ma era tanto alta la piena che ha sormontato argini che non dovevano essere sormontati”.

valle della Via Emilia invece gli sbagli ai danni del territorio sono inoppugnabil. Nel forlivese se si confrontano le aree coinvolte tramite Google si scopre una perfetta coincidenza tra il rischio probabile e quello effettivo generato dalle esondazioni del maggio. La conoscenza della minaccia, però, non ha impedito di costruire. Le previsioni urbanistiche sono rimaste e si è andati avanti a cementificare “a suon di prescrizioni”, cioè compromessi e deroghe. In altre parole gli effetti del Piano Stralcio di Bacino per l’Assetto Idrogeologico, istituzione che risale agli inizi del millennio e ad oggi, rileva Pardolesi, risulta impoverita di personale (“siamo in pochi e male attrezzati per un territorio vasto che va da Ponte Uso a San Benedetto in Alpe”) sono stati limitati dalla politica.

“Quando cercammo di imporre che le previsioni di allagamento fossero sufficienti per eliminare gli insediamenti previsti” scoppiò un putiferio. D’altra parte “se per dieci anni uno paga l’Imu su terreni edificabili e poi si sente dire no non puoi più costruire si arrabbia no?” E la legge urbanistica del 2017, che avrebbe dovuto contenere il consumo di suolo, tale è stata solo in teoria. “Con gli accordi di programma si fa la variante per motivi di pubblico interesse: tu mi fai una scuola e io ti faccio costruire. I capannoni nuovi sono a centinaia e a decine quelli in costruzione”. 

Tutto questo in un territorio di bonifica, nel quale i fiumi non arrivano al mare, non hanno pendenza, s’ingolfano in coincidenza delle città e non solo, dal momento che gli insediamenti sono ovunque e sotto minaccia. E almeno si vietassero i piani interrati. Che però, siccome non fanno volumetria, non solo li si fa, ma anche nella parte della tavernette diventano le stanze più vissute della casa.” Quelle che si riempiono d’acqua fino al soffitto.


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