Severo j'accuse domenica 18 febbraio a Sorrivoli negli spazi di OrtiCà Lab, base operativa della società agricola omonima di Martina e Carlo Enrico, agricoltori bio, per parlare di collina e cambiamento del clima. Da Andrea Fantini, autore di Un autunno caldo: Crisi ecologica, emergenza climatica e altre catastrofi innaturali, da Andrea Benini del Servizio Tecnico di Bacino della Romagna e da Gabriele Antonini dell’Osservatorio clima di Arpae non solo s'è udito l’annuncio (Antonini) che riguardo alla temperatura media del pianeta rispetto all’età preindustriale l’obiettivo di stare sotto il grado e mezzo in più “è già morto”, mentre il successivo dei due gradi ”è sul letto di morte”.
Anche, anzi soprattutto, da parte di Benini e Antonini viene criticata tutta l’azione regionale dell’Emilia-Romagna prima e dopo l’alluvione del maggio 2023. Cominciando dal prevalente focus sulla pianura nella corsa ai ripari contro simili guai futuri. Il malato grave è infatti la collina. “La perturbazione partita dal mare è in collina che si è scaricata: sulle colline del faentino è caduta la metà della pioggia annuale e, anche se si è parlato di eventi con ricorrenza cinquecentennale” e l’attribuibilità al climate change non è dimostrata, ha sottolineato Antonini, la certezza che il guaio si possa ripetere è scontata. Come agire?
Smettendo di abbandonare la collina, dice Benini. Non per nulla il titolo dell’incontro è Rilievi. Bisogna “cambiare rotta”. Cosa che purtroppo non si sta facendo, perché, passata l’emergenza, si lavora agli argini in pianura, magari tagliando gli alberi, e si progettano casse di espansione dopo che quelle che già c’erano non sono bastate come non basteranno le nuove. E non si affronta, invece, “il tema dei detriti e dell’acqua che vengono dalla collina”. Dove si sta lavorando per rattoppare, ma i soldi necessari non bastano per “rendere gli interventi definitivi e non provvisori”.
E siccome purtroppo l’autorità di bacino “è stata allontanata dai territori” non resta, per chi in collina vive e lavora, che “fare da sé”, armandosi “nel suo piccolo con la zappa” per “regimentare l’acqua e convivere con questi eventi estremi senza aspettare gli enti”. Sembrano parole di amara ironia, visto che, come osservato dal pubblico, per esempio nelle colline a ridosso di Cesena, non vivono contadini ma avvocati e medici che hanno trasformato vecchi casali in ville, ma è la politica che ha voluto questo: la stessa politica che decide tanto l'edificazione nei posti sbagliati, benché avvertita dei pericoli, quanto la costruzione di vasche di contenimento per tranquillizzare il cittadino dopo il disastro.
La politica, sempre lei, che ha condotto il Consorzio di bonifica, a cui la collina versa denaro, a non esserci più per la collina. “Prende i soldi ma si concentra sul fondovalle”. Perché? Non si sa: “siamo di fronte ad un muro di gomma, nel senso che si tratta di un problema politico e non c’è risposta”.
Come per tante altre questioni. Bisognerebbe, per esempio, vietare la coltivazione dei kiwi, che richiedono grandi quantità di acqua, magari prelevata di notte durante i divieti, ma “come si fa se al politico interessa solo il consenso? È una brutta storia quella tra la conservazione del territorio e la politica”. Il personale stesso al Consorzio di bonifica occidentale è ridotto a “poco” e “spesso la progettazione è girata all’esterno...”
D’altra parte la voce della collina è debole nelle stanze della politica, e non solo perché “ci lavora sempre meno gente con un minimo di fatturato”. Ma anche perché "noi dell’agricoltura -interviene una figura regionale preposta al settore- non abbiamo nessun potere programmatorio. Dopo l’alluvione si è fatto un censimento dei danni ex post, ma poi tutto è deciso a Bologna” . E dà l’idea della lontananza sulla questione tra centro e periferia il fatto che “da Cesena sono pervenute solo cinque domande di contributi su centinaia di aziende danneggiate”. Che significa che “il bando non è stato scritto bene”.
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