Riproduzione in scala 5:1 della figura adorante femminile detta Cuchimilco Perù, 1000-1450 d. C., Rimini, Museo della città |
Ripiegando sul lirico e sull’intimistico, allontanandosi cioè dalla tradizione giocosa, comica, narrativa, dialogante, ironica, se non addirittura civile, di un Baldini, di un Nadiani, di una Rocchi, anche di un Guerra, la poesia romagnola non rischia di restringere ulteriormente il suo pubblico e, di conseguenza, di limitare anche la sua capacità di allungare la vita al dialetto? Fungendo, per il dialetto, da canto del cigno? La Romagna non è il Veneto o la Toscana. Come si osserva nell’ultimo, 15 dicembre 2022, dei quattro incontri riminesi della rassegna Donne in dialetto: Lingua madre e poete di Romagna, curata da Fabio Bruschi, le protagoniste del quale sono state la meldolese Laura Turci e la lughese Agnese Fabbri, “ai romagnoli piacciono le novità e così come nel dopoguerra hanno preferito i mobili di formica a quelli di legno massello altrettanto hanno buttato via le parole di legno (dialetto) e preso quelle di plastica (italiano), rendendosi conto anni dopo di aver commesso un grave errore”. Il dialetto romagnolo è ormai soltanto una pura lingua letteraria.
Esprimentesi attualmente, grosso modo, in tre filoni. Il primo è, appunto, rappresentato da poetesse come Turci e Fabbri, che sulla linea aperta da Annalisa Teodorani affidano al dialetto un lirismo estremo, spesso impegnativo per il lettore, perché formalmente distillato dal proprio vissuto e dal culto della parola. Ci sono poi i raduni dialettali post-pandemici come quelli organizzati da Manuela Gori di Cesena, per conto dell’associazione Te ad chi sit e' fiol, intitolati significativamente Gatozli, che vuol dire grosso modo solletico. Nei circoli Endas o Arci richiamano affezionati del dialetto acsè par rìd. Quindi con generoso uso dell’armamentario classico del comico-realismo: dal vituperio all’oscenità al bozzetto comico in un clima da amarcord e revival e testi poetici, barzellette, facezie, e poeti, cantautori e narratori prevalentemente maschili. Per un pubblico, anche qui, attempato, anche se è falso che ai giovani il dialetto non interessa: basti, a conferma del contrario, il trap In tlà mi Rumagna, col quale al tempo della pandemia il duo di Romagnoli popolo eletto ci tirava su il morale.
Tra questi due estremi si collocano raccolte come l'ultima di Paolo Faetanini, Te mez dlà nota, 2020, con più evidenza riconducibile alla lezione dei grandi santarcangiolesi degli anni settanta e ottanta, ma torniamo all'ultimo appuntamento riminese di Donne in dialetto.
Oltre a suggerire qualche dubbio sul futuro del dialetto e quindi della poesia dialettale negli ultimi decenni fortemente femminilizzata, la rassegna di Bruschi prova anche a rispondere all'interrogativo se esista o no una “specificità femminile" in questo dialetto poetico xx.Tanto Teodorani, che leggeva i testi di Laura Turci, quanto Fabbri, docente di lettere a Lugo, hanno però sostanzialmente detto “passo” alla domanda a loro rivolta. Inevitabilmente: è una domanda troppo metafisica.
Sarebbe stato più utile chiedere: le poetesse romagnole portano a questo filone della poesia nazionale, di cui sono degne eredi, contenuti nuovi? E la risposta è: certamente. Basti la raccolta che Borgini ci regalò in piena pandemia: Acsè al dòni, stampata sul filo del primo lockdown, il 14 febbraio 2020, giorno di San Valentino. La linfa che nutre i versi del libretto è il buono e il bene nella vita quanto più è possibile e dove c’è. Anche perché, ed eccoci al punto che peraltro tanto ci fa pensare alle coraggiose donne iraniane, “aréndsi // ù n’è da nun dòni”.
Bisogna però che li covino e quindi li esprimano questi nuovi contenuti. Il che, se l'intimismo è troppo introverso, appare difficile. E questo non aiuta molto il futuro del dialetto romagnolo...
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