domenica 25 dicembre 2022

ALBERTO CONTI MUORE UN ANNO FA NELLA NOTTE DEL NATALE 2021 IN PIENA TEMPESTA PANDEMICA. SETTANTANNI, INGEGNERE STRUTTURISTA, PENSIONATO DAL 2018, CICLISTA DI LUNGO RAGGIO E, SOPRATTUTTO, AMBIENTALISTA FORLIVESE CON TRENTADUE ANNI DI MILITANZA NEL WWF, RUMAGNACUMCLAJÈ LO RICORDA CON UN RITRATTO INEDITO FRUTTO DI UN'INTERVISTA DEL 2019.

ALBERTO CONTI, FOTO DI IVANO TOGNI

Agli antipodi, per dire, della faentina Linda Maggiori, Alberto Conti è sinonimo di social al minimo se non nulli, meglio la classica conferenza stampa. Come Linda a Faenza, però, Conti è centrale nel dibattito forlivese pur senza personalizzazioni. Rispetto alle istituzioni locali e regionali è dialogante, ma anche pronto allo confronto duro. Anche coi Verdi locali. Sempre però lungo il filo conduttore di una storia amministrativa della città romagnola del tutto particolare se non unica. In Romagna e forse non solo.

Parlare di Conti significa infatti parlare del Tavolo delle Associazioni Ambientaliste di Forlì di cui l’ingegnere è coordinatore dal 2013. “Nato - recita a memoria nell’ufficio dell’Assiprov forlivese- nel 2011, sindaco Roberto Balzani (2009-14, NdA) con delibera di giunta numero 182 del 23 giugno dopo che eravamo stati già coinvolti nel ruolo di consulenza volontaria pro- amministrazione tanto rispetto alla giunta stessa quanto anche ai gruppi consiliari, il Taaf non è una consulta ambientale. È stato costituito con una delibera per così dire leggera che ci riconosce tutte assieme come associazioni ma solo per capire come la pensiamo. Noi avremmo voluto una cosa più pregnante: essere interpellati prima di una decisione, ovviamente in senso puramente consultivo, per contribuire alle decisioni e al lavoro degli uffici. Niente parere preventivo invece. Avviene semplicemente che, informati sulle problematiche e tematiche che via via saltano fuori, chiediamo di approfondirle all’assessore. Che ci mette in contatto con gli uffici coi quali poi ci rapportiamo. In altre parole, a patto che il lavoro dell’amministrazione non sia rallentato, otteniamo il consenso dell’assessore per ottenere le informazioni grazie alle quali possiamo formulare le nostre osservazioni entro un termine massimo: dieci giorni, per esempio, meglio pure un giorno prima che dopo...”

Massimo terreno di prova dell’operazione Taaf fu la questione dei rifiuti. “Prima delle elezioni del 2009 –ricorda Conti- il 9 giugno per l’esattezza, il candidato Balzani ci chiama tutte, dico le associazioni ambientaliste, Italia Nostra, Wwf, Medici per l’Ambiente... cioè non tutte ma sicuramente molte, e ci dice: voglio un rapporto organico con voi, in particolare voglio iniziare un percorso post-inceneritore e superare la prevalenza di Hera che l’inceneritore gestisce. Ci propone in pratica una rottura rispetto alla politica precedente, rispetto al passato”.

L’inceneritore di Forlì nasce negli anni ’70 con le amministrazioni rosse di Angelo Satanassi che regalarono a Forlì il centro pedonalizzato e la soluzione tecnologicamente più avanzata di allora per la gestione rifiuti per andare oltre alle discariche. Nel 2003-4 l’impianto era stato riassettato e potenziato da 60 mila tonnellate annue alle attuali 120-150 mila al servizio di un raggio provinciale, ma, puntualizza Conti, con noi contrari, perché “noi sostenevamo che con la differenziata sarebbe bastato com’era all’inizio. Perciò con Balzani ci stiamo. La novità c’è. I sindaci prima non ci potevano neanche vedere”.

Il Wwf a Forlì, per capirci meglio, nasce negli anni ’60, decennio “micidiale per l’ambiente”, nel corso del quale inizia il dibattito su come rifornire la Romagna di acqua non inquinata da nitriti e nitrati legati all’agricoltura intensiva. Tramite il Canale Emiliano-romagnolo e l’invaso di Ridracoli che sarà completato con l’acquedotto nell’88, o, come il Wwf avrebbe preferito, “con un uso non consumistico delle risorse idriche combinato con il canale e le risorse fluviali della prima fascia di pianura dei vari Savio, Montone, Marecchia?”

Ebbene, Balzani si era collocato sempre su posizioni critiche rispetto all’epopea di Ridracoli e del suo massimo propugnatore, Giorgio Zanniboni, già sindaco comunista di Forlì negli anni ’80 e poi primo presidente (1989) del Consorzio Acque inizialmente forlivese-ravennate poi di tutta la Romagna...

Certo, alla prova dei fatti i rapporti tra il Taaf e Roberto Balzani non furono idilliaci né all’inizio della, chiamiamola così, collaborazione, né durante quelli che l’ex-sindaco nel suo libro battezzò come Cinque anni di solitudine. In particolare con chi “gestì il tavolo materialmente” (parole di Balzani), cioè quell’Alberto Bellini, ingegnere elettronico e assessore all’ambiente dal 2009 al 2015, chiosa Conti, “non ci amavamo!”

Per quanto promosso dall’amministrazione comunale, così Conti motiva il mancato idillio, il Taaf non era (e non è) integrato con essa. Era (ed è) autonomo: nel giudizio e operativamente e, se da parte sua “Bellini in particolare era poco incline al rapporto col Taaf, riguardo a noi, noi del Taaf, da una parte non ci siamo mai conformati con loro, dall’altra avevamo e abbiamo conquistato presa con la popolazione che ci prendeva e prende sul serio”.

Quel quinquennio però ha creato le premesse per raggiungere l’obbiettivo ambito da tanto associazionismo e ambientalismo romagnolo, e secondo Conti auspicato da Balzani: scalzare dalla gestione dei rifiuti del forlivese la potente multiutility, Hera, dominus del settore in Emilia-Romagna (si affidano ad Hera attualmente circa l’80% del totale delle amministrazioni romagnole, Imola compresa). Dal 2017 infatti Alea Ambiente SpA, società interamente pubblica, provvede ai rifiuti di Bertinoro, Castrocaro Terme e Terra del Sole, Civitella di Romagna, Dovadola, Forlì, Forlimpopoli, Galeata, Meldola, Modigliana, Portico e San Benedetto, Predappio, Rocca San Casciano e Tredozio. Ed è cambiata in modo significativo (con il “porta a porta”) la modalità del servizio.

E Conti non solo è costantemente in trincea, in dibattiti, media e istituzioni, per rivendicare il successo del “Modello Alea” in termini di minori costi, maggiore differenziato (85%), minore indifferenziato (abbandoni e conferimenti illeciti in comuni limitrofi compresi) e minori rifiuti complessivi, ma anche per contrastare le false notizie che fioccano da ogni parte sull’argomento. Inoltre appare sempre più determinato riguardo alla strategia politica con cui l’obbiettivo è stato raggiunto e quindi riguardo alla replica della medesima per altre battaglie.

“Se non ci fosse stato il Taaf, di cui io sono solo coordinatore e tiro la carretta perché questo tavolo funzioni e continui a funzionare, ma solo come primus inter pares, perché ci sono altri di me meno visibili, ma altrettanto determinati... Senza il Taaf, dicevo, Alea non si sarebbe fatta non perché abbiamo potere, ma perché l’abbiamo sostenuta pubblicamente, informando il pubblico e contribuendo a rafforzare l’iniziativa, ma solo come organo a latere. Senza di noi non ci sarebbe stata la collaborazione di altri cittadini, perché abbiamo allargato la base sociale, fatto uscire la cosa dalle chiuse stanze. Certo, prima c’è stato Balzani (e Drei, che ha mantenuto l’impegno) ma noi abbiamo rappresentato il valore aggiunto dell’operazione, sostenendola ma sempre tanto da una posizione collaterale quanto sulla base di una valutazione critica...”

Stesso format operativo quindi per l’obbiettivo prossimo, che è del WWF, ma solo come ispiratore iniziale. Già in moto cioè per allargarsi ad altri, associazioni in primis: in vista del rinnovo del Piano Urbano Generale Conti e il WWF puntano ad una collaborazione tra i comuni di Predappio, Meldola, Bertinoro, Forlimpopoli e Castrocaro finalizzata a ri-naturalizzare il territorio con una “eco-pianificazione” rappresentata da aree protette e naturali e foreste periurbane lungo una fascia della collina forlivese che, partendo da Bertinoro, passi per Meldola, Forlì, Castrocaro, Predappio, Modigliana, Brisighella, e confluisca infine nel Parco della Vena del Gesso...

sabato 17 dicembre 2022

DONNE IN DIALETTO CHIUDE IL 15 DICEMBRE LA SERIE RIMINESE DEDICATA ALLE POETESSE ROMAGNOLE CON I VERSI DI TURCI E AGNESE FABBRI E UN PAIO DI INTERROGATIVI SUL FUTURO DEL ROMAGNOLO E SU QUANTO DI NUOVO LE NUMEROSE POETESSE CONTEMPORANEE STANNO APPORTANDO A QUESTO FILONE DELLA LETTERATURA ITALIANA CHE EBBE GRANDI COME TONINO GUERRA E RAFFAELLO BALDINI

Riproduzione in scala 5:1 della figura adorante  femminile detta Cuchimilco
Perù, 1000-1450 d. C., Rimini, Museo della città

Ripiegando sul lirico e sull’intimistico, allontanandosi cioè dalla tradizione giocosa, comica, narrativa, dialogante, ironica, se non addirittura civile, di un Baldini, di un Nadiani, di una Rocchi, anche di un Guerra, la poesia romagnola non rischia di restringere ulteriormente il suo pubblico e, di conseguenza, di limitare anche la sua capacità di allungare la vita al dialetto? Fungendo, per il dialetto, da canto del cigno? La Romagna non è il Veneto o la Toscana. Come si osserva nell’ultimo, 15 dicembre 2022, dei quattro incontri riminesi della rassegna Donne in dialetto: Lingua madre e poete di Romagna, curata da Fabio Bruschi, le protagoniste del quale sono state la meldolese Laura Turci e la lughese Agnese Fabbri, “ai romagnoli piacciono le novità e così come nel dopoguerra hanno preferito i mobili di formica a quelli di legno massello altrettanto hanno buttato via le parole di legno (dialetto) e preso quelle di plastica (italiano), rendendosi conto anni dopo di aver commesso un grave errore”. Il dialetto romagnolo è ormai soltanto una pura lingua letteraria.

Esprimentesi attualmente, grosso modo, in tre filoni. Il primo è, appunto, rappresentato da poetesse come Turci e Fabbri, che sulla linea aperta da Annalisa Teodorani affidano al dialetto un lirismo estremo, spesso impegnativo per il lettore, perché formalmente distillato dal proprio vissuto e dal culto della parola. Ci sono poi i raduni dialettali post-pandemici come quelli organizzati da Manuela Gori di Cesena, per conto dell’associazione Te ad chi sit e' fiol, intitolati significativamente Gatozli, che vuol dire grosso modo solletico. Nei circoli Endas o Arci richiamano affezionati del dialetto acsè par rìd. Quindi con generoso uso dell’armamentario classico del comico-realismo: dal vituperio all’oscenità al bozzetto comico in un clima da amarcord e revival e testi poetici, barzellette, facezie, e poeti, cantautori e narratori prevalentemente maschili. Per un pubblico, anche qui, attempato, anche se è falso che ai giovani il dialetto non interessa: basti, a conferma del contrario, il trap In tlà mi Rumagna, col quale al tempo della pandemia il duo di Romagnoli popolo eletto ci tirava su il morale. 

Tra questi due estremi si collocano raccolte come l'ultima di Paolo Faetanini, Te mez dlà nota, 2020, con più evidenza riconducibile alla lezione dei grandi santarcangiolesi degli anni settanta e ottanta, ma torniamo all'ultimo appuntamento riminese di Donne in dialetto.

Oltre a suggerire qualche dubbio sul futuro del dialetto e quindi della poesia dialettale negli ultimi decenni fortemente femminilizzata, la rassegna di Bruschi prova anche a rispondere all'interrogativo se esista o no una “specificità femminile" in questo dialetto poetico xx.Tanto Teodorani, che leggeva i testi di Laura Turci, quanto Fabbri, docente di lettere a Lugo, hanno però sostanzialmente detto “passo” alla domanda a loro rivolta. Inevitabilmente: è una domanda troppo metafisica.

Sarebbe stato più utile chiedere: le poetesse romagnole portano a questo filone della poesia nazionale, di cui sono degne eredi, contenuti nuovi? E la risposta è: certamente. Basti la raccolta che Borgini ci regalò in piena pandemia: Acsè al dòni, stampata sul filo del primo lockdown, il 14 febbraio 2020, giorno di San Valentino. La linfa che nutre i versi del libretto è il buono e il bene nella vita quanto più è possibile e dove c’è. Anche perché, ed eccoci al punto che peraltro tanto ci fa pensare alle coraggiose donne iraniane, “aréndsi // ù n’è da nun dòni”. 

Bisogna però che li covino e quindi li esprimano questi nuovi contenuti. Il che, se l'intimismo è troppo introverso, appare difficile. E questo non aiuta molto il futuro del dialetto romagnolo...


sabato 10 dicembre 2022

AVERE TUTTO, ULTIMO ROMANZO DI MARCO MISSIROLI, EINAUDI, NARRA DEL RITORNO DEL MILANESE SANDRIN NELLA RIMINI E NELLA ROMAGNA DELLA SUA GIOVENTÚ, DEI GENITORI E DEL PADRE IN PARTICOLARE, MA PIÚ CHE UN RITORNO ALLE RADICI É UNA DISCESA ALLA RICERCA DI SÉ. UNA RINASCITA SENZA ENFASI, SENZA RETORICA

 

A Milano lo chiamano Rimini, a Rimini quello che va e viene da Milano. Il protagonista dell’ultimo romanzo di Marco Missiroli, Avere tutto, Einaudi, è però soprattutto un romagnolo, perché la storia esonda dalla sua Rimini del passato e del presente a tutta la Romagna: da Montescudo a San Zaccaria, da Cesena a Cervia a Santarcangelo. Rimini soprattutto naturalmente, ma a modo suo il romanzo è anche un on the road sulla Renault 5 del padre, Nando, settantaduenne, ballerino sfegatato insieme alla moglie Caterina, defunta cinque anni prima. Nando pure è protagonista insieme al figlio romagnolo-milanese, Alessandro Pagliarani. Perché la storia si regge tutta sulla relazione tra i due.

Dicevamo della Romagna, ma una Romagna ruvida, spaesata, disincantata, “senza cagnara”, “fiacca”. Con scorci tipo “Chissà perché a Rimini i gabbiani non urlano mai”, nel quale certamente il lettore romagnolo non potrà che inciampare. Anche perché, ci assicurano, non è vero. Lo è però per Alessandro/Sandro/Sandrin che è tutto raccolto nella doppia fatica del confronto/scontro col presente, anche personale, e della raccolta dei frammenti del suo passato, quello riminese, quello di prima di passare all’università a Bologna e poi a Milano come pubblicitario, per rientrare quindi, e torniamo al presente, in patria. Restandoci in conseguenza di un richiamo che via via andrà sempre più dolorosamente manifestandosi.

Presente e passato vissuti sul filo del rasoio per via di un anelito di onnipotenza, come si suol dire, acquisito forse col latte materno. Nel quale cioè il lettore potrebbe pure individuare un che di squisitamente romagnolo. Anche per i tratti, come spesso accade, distruttivi. Di certo c'è che presente e passato sono entrambi sospesi tra passione e disperazione, malattia e riscatto: riscatto, però, senza palingenesi, senza nostalgia. Neanche della Romagna, della “Rimini dura con i timidi”. 

Padre e figlio, però, si capiscono perfettamente, questo sì. “Gli confidavo tutto senza confidargli niente”. La tematica del romanzo in fondo è tutta qui: in questa intesa, in questo cedersi amichevolmente il testimone della vita...

Sequenza emblematica del tono e della visione che nutrono il romanzo è, per esempio, una di carattere molto laterale (scusate se non vi neghiamo la sorpresa della trama: basti che il libro si presta bene per una sceneggiatura, perché comunque è solida, ben scavata nel travaglio di Sandrin). Quella del ricordo dell’inumazione della madre. Vita e morte convivono, magari schiaffeggiandosi, in tutto il romanzo. Nel momento esatto in cui la bara viene infilata nel loculo, mentre tutti gli altri, in primis gli ex alunni della maestra e pittrice Caterina diventati grandi, sono lì intorno, il marito Nando sparisce.

Alessandro e l’amico prete Don Paolo lo ritroveranno in seguito rifugiato “dietro la cappella centrale”. Da dove Nando “aveva allungato il collo e aveva chiesto se la posa sarebbe stata a malta o a incastro”. Dopotutto anche la morte è una formalità.

venerdì 2 dicembre 2022

VITTORIO SGARBI OGGETTO E SOGGETTO A FERRARA NELLA MOSTRA SUL PITTORE E SCULTORE CARLO GUARIENTI E POI ANCORA ALTRO DI QUESTA CITTÀ CHE SORPRENDE E ANNOIA ENTUSIASMA E IMMALINCONISCE

La sorpresa maggiore di un paio di giorni a Ferrara circa tre settimane fa è stata il quadro di Vittorio Sgarbi dipinto da Carlo Guarienti, artista che l’anno prossimo compie cent’anni. Un Vittorio bravo ragazzo, tranquillo, ma anche doppio, verrebbe da dire, quale in effetti è.

Si tratta di una retrospettiva che attraversa tutta la carriera di Guarienti, pittore e scultore straordinario che, partito nel dopoguerra da un rifiuto dell’arte astratta per sposare il realismo, poi però si cimenta nella geometria, nella natura morta, in sperimentalismi vari, nel surreale. "Un’arte mentale” è l’etichetta che gli assegna Sgarbi stesso, che della mostra è anche il primo ispiratore. .

Le opere di Guarienti stanno alla fine del lungo e impegnativo percorso storico del castello e questo non aiuta a gustarle ed apprezzarle come meriterebbero, perché ci si arriva sfiniti. D’altra parte non si può evitare di appropriarsi dell’intero scrigno, all'interno dello storico edificio, sulla parabola della città e della dinastia, gli Este, che su di essa investirono ambizioni di grandeur, passione per la bellezza, megalomania e, naturalmente, autocrazia. 

Scoprendo che Ferrara, che non è una città romana, ma gota, in qualche modo è anch’essa, come l'opera di Guarienti secondo Sgarbi, un prodotto mentale. Tant’è vero che l’ultima “addizione”, l’ultimo ampliamento, quello di Ercole I, fu in gran parte velleitaria. Più sulla carta che nei fatti. Una grande idea incompiuta.

Ottima base per visitare Ferrara è lo Student's hostel estense in Corso Biagio Rossetti a due passi dall'imbocco di Corso Ercole d'Este, col pavè, gli edifici istituzionali e veri e propri gioielli come Palazzo Gulinelli, tutto in cotto, elegante e caldo. Restaurato dopo il sisma del 2012, ci strappa un "Meno male che abbiamo i terremoti!" tanto ne siamo estasiati.

Una incauta uscita. Come espiazione ci imporremo in serata una pessima piadina a prezzo sproporzionato nel cortile del Palazzo della ex-Borsa, sempre in Corso Ercole. Ovattato e riscaldato di giorno dal suo suggestivo lucernario, di sera si trasforma in confluenza della movida.

Successivamente, un plus di colpa ci conduce alla visione di Il piacere è tutto mio al cinema parrocchiale San Benedetto, situato in una traversa di un Corso Po davvero terreo nella sera domenicale. Emma Thompson nella parte di una anorgasmica anziana signora che punta al riscatto in zona Cesarini col bellissimo Daryl McCornack è giusto, come la presentano i manifesti, una favola. Meno credibile però di Cenerentola.

All'andata no; al ritorno invece c'è un bel diretto per Cesena nel pomeriggio senza cambio a Bologna.