Cultura, cibo e gentilezza sono la trimurti di un week end a Reggio Emilia. Che rispetto a Cesena sta all’interno di quel raggio magico di 150 km di treno e/o autostrada tale da rendere questa città al centro della Pianura padana e prevalentemente percepita come passaggio verso mete più attrattive come Bologna o Milano, letteralmente a portata di mano. Entrandoci però, e lasciandovi alle spalle la stazione e quindi imboccando la pedonale via Emilia per immergervi nella sobria quotidianità di un ordinario sabato cittadino con le bancarelle e le chiacchiere e i ristoranti che in questo ottobre ancora invadono strade e piazze, la città vi inghiottirà talmente con le sue offerte, il buon gusto della sua accoglienza e, vorremmo dire, anche con la sua generosità da domandarvi alla fine del tour: ma davvero siamo stati tanto lontani da casa in così poco viaggiare?
Partiremo dalla fine: alla domenica mattina, ore 10,30, alla Collezione Maramotti, fuori da Porta Santo Stefano, bus E (chiedere all’autista la fermata giusta), inizia la visita guidata di decine di sale e 200 opere raccolte da un imprenditore, Achille Maramotti, e gran collezionista di arte dal secondo dopoguerra ad oggi. Si parte dall’informale e dagli artisti, come suggerito dalla guida, che “hanno fatto la guerra”, e si approda alla contemporaneità col suo misto di denuncia, trasgressione, serialità, costruttivismo, ibridazione, provocazione e tant’altro. Se ne esce esausti e felici. Inevitabilmente con una fame... una fame...
Per cui, se rientrate nella cerchia storica attraversando il ponte sul Crostolo, che una volta tagliava la città ed oggi con il suo letto verdeggiante sostanzialmente la separa dalla periferia nord- orientale direzione Parma, il consiglio è di infilarvi decisi nell’Osteria Monzermone, nell’omonima viuzza.Quello che ha di meglio Reggio Emilia te lo dona: la Collezione Maramotti è gratis. Come pure le esposizioni stabili o temporanee presso il Palazzo dei musei, un autentico museo di musei; e gratis (offerta libera) è pure la mostra su Augusto Daolio, la voce inconfondibile dei Nomadi, morto trent’anni fa e restituito a noi nei tre piani del modernissimo, pur tra tanto antico, Spazio Gerra. Un grande italiano, Daolio: pittore, musicista, poeta, utopista. La mostra ce lo regala letteralmente in tutta la sua ricchezza di creativo e sognatore. E inconfondibilmente reggiano, verrebbe da dire.
Sì, perché la cifra di questa città, la cui compiuta natura multietnica la mastichi in ogni sua parte (con tanto di querelle sul tema), crediamo sia proprio di mostrarsi sonnacchiosa e placida, per poi però sorprenderti per la disarmante naturalezza con cui ti si rivela aperta al nuovo. Non è necessario allungarsi (bus 9) fino ai ponti di Calatrava e alla stazione Mediopadana. La mostra dedicata alla pittura e alla fotografia e alla musica del poliedrico Yuval Avital, intitolata Membrane, lungo la via Emilia, a poco più di mezzo km dalla stazione, crediamo non avrebbe trovato location più adatta che nella quieta Reggio Emilia e nelle sale recuperate cinque-settecentesche dei Chiostri di San Pietro. Le opere dell’artista israeliano ti trafiggono di angoscia al piano terra, ma poi ti elevano in una specie di sposalizio uomo-natura che sa tanto di sogno, di utopia e anche un po’ di sfida. Un po’ come se la città ti sussurrasse in questa mostra: qui almeno puoi immaginare, se non illuderti, che “tutto andrà bene”.
La visita alla Basilica della Beata Vergine della Ghiara, presso l’ostello della Ghiara, non lontano da piazza duca d'Aosta, ma in centro storico, che è, l'ostello, un porto di mare di viaggiatori e libertari e, come dicono i gestori, di “giovani di tutte le età”, nel quale potete avere tutto, colazione, aperitivo, pranzo, cena, stanza a poco prezzo, lavanderia e... la solita gentilezza che ti conquista... Dicevamo, la Basilica della Beata Vergine della Ghiara sta vicino all’omonimo posto per trascorrere la notte, e il tour della città potrebbe partire proprio da lì. Ve la consigliamo, perché vi accoglie con una quadreria secentesca di grande suggestione. Tempi cupi, ma, come gli storici dell’arte insegnano, di indubbio sperimentalismo artistico...
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