martedì 30 agosto 2022

MASSIMO BULBI CANDIDATO ALLA CAMERA PER IL COLLEGIO DI FORLì - CESENA É PER LETTA UNA CARTA VINCENTE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA FORSE NO

Venerdì 26 agosto presso il Centro dei dem Vivere il tempo a San Mauro in valle a Cesena, al cospetto di un mezzo migliaio di persone, Massimo Bulbi, classe 1962, ha ribadito, con al fianco l'amico Enrico Letta, le tre grandi aree del programma del partito per il quale concorre come candidato all’uninominale alla Camera nel collegio di Forlì-Cesena: transizione ecologica, sociale (welfare) e diritti. Come potrà però convincere tanti ambientalisti riguardo alle sue buone intenzioni in fatto di green?

Come cacciatore e Presidente di Federcaccia Emilia-Romagna eletto per un paio d'anni appena concluso il suo quinquennio di sindaco di Roncofreddo (2019) i suoi strali vanno tutti contro di loro, animalisti inclusi ovviamente, in quanto antagonisti di chi spara a beccacce, tordi, piccioni, pavoncelle e tortore e alle restanti delle quaranta specie di pennuti cacciabili. 

È sempre più difficile, in tempo di allarme clima e di enfasi universale sulla sostenibilità, difendere la natura etica della pratica venatoria, ma Bulbi nell’impresa ce l'ha sempre messa tutta. Accusando gli avversari di ideologismo, visione preconcetta e incompetenza, ma anche ricorrendo a qualche astuzia. Come quando come Presidente della Provincia di Forlì-Cesena affidò un daino rimasto senza genitori (evidentemente uccisi) al cacciatore Sindaco di Santa Sofia. Come per dire a tutti, in particolare ai media: vedete che anche i cacciatori hanno un’anima!

Inutile aggiungere che, sempre da Presidente Federcaccia, difende la contestatissima braccata come pratica collettiva finalizzata sulla carta a contenere la sovrappopolazione di cinghiali. “I cacciatori in squadra rappresentano uno strumento fondamentale per il contenimento dei danni alle colture agricole e all’ambiente”. Altre modalità sono inefficaci ipse dixit.

Vero che il partito di Enrico Letta è orientato all’ecumenicità, ma contro la candidatura del commendatore Bulbi è stata avviata perfino una raccolta di firme su Change.org nella quale si boccia il consigliere regionale proprio in materia di ambiente. “Avremmo bisogno di altre figure -recita tra l‘altro- che abbiano una diversa visione sul consumo del suolo, il rapporto con le aree protette e la capacità di rendere le attività economiche compatibili con l’ambiente non solo a parole”.

In quanto consigliere regionale dal 2020 non avrebbe potuto candidarsi al Parlamento, ma Letta stesso ha spiegato indirettamente al popolo cesenate il perché dell’ok all’accumulo delle cariche: l’uninominale farà la differenza e nei collegi in cui c’è sostanziale parità con la destra bisogna impegnare i cavalli vincenti del territorio. Tanto più se l’altro fronte piazza dei paracadutati. E Bulbi lo sarebbe, vincente, anche se sulla carta non quanto Lia Montalti, che nel 2020 è diventata consigliera regionale con il doppio delle sue preferenze. Come la mettiamo però con l’ambiente sul quale l'uomo di Roncofreddo nel tempo ha speso la propria scaltrezza, nel territorio appunto, anche per infinocchiare gli ambientalisti?

Giuseppe Colicchio, leader degli anti-discarica soglianese nella valle dell’Uso, ricorda il duro braccio di ferro contro il mega-biodigestore di Sogliano Ambiente a Masrola di Borghi che alla fine passò con l’impegno ad alcune “prescrizioni” (“quando si sono visti con le spalle al muro”) quali un limite alla quantità conferibile all’impianto e l’obbligo ad un percorso dei camion diverso da quello previsto. Furono però immediatamente tolte ad opera realizzata nel 2013. Evoca una furbizia simile anche Sauro Turroni a proposito dell’inceneritore di Forlì. Secondo Turroni Bulbi dette l’ok alla prosecuzione e al potenziamento della capacità di smaltimento con quel sistema attribuendo “un significato diverso al testo del programma” concordato coi Verdi, che stavano in maggioranza nel Comune e in Provincia. Ne seguirono la fuoriuscita del partitino e altri malanni interni.

Uomo del territorio come Letta vorrebbe in effetti lo è, Bulbi, ma solo nel senso di attivatore dei player economici. Con successi e pure flop. A volte non solo per sua responsabilità come nel caso della società forlivese-cesenate Sapro che avrebbe dovuto favorire la nascita di capannoni industriali chiudendo invece la sua storia con 110 milioni di debiti, ma che comunque non aveva certo il contenimento del consumo di suolo tra i suoi obbiettivi. Altre perché semplicemente (e dal punto di vista green fortunatamente) perse.

Per i fautori dello sganciamento del servizio di raccolta dei rifiuti cittadini del forlivese dalla multiutility, che in Romagna spadroneggia, Bulbi figurava come il capo del partito pro Hera. Prevalse però la soluzione “in casa” di Alea Ambiente attiva dal 2017 tanto a Forlì quanto nel forlivese

Bulbi è un altro mondo rispetto a Roberto Balzani, il sindaco (2009-14) che istituzionalizzò il Taaf (Tavolo delle Associazioni Ambientaliste di Forlì) e gettò le basi di quel cambiamento nella gestione dei rifiuti per implementare un porta a porta

integrale e portare allo spegnimento dell’inceneritore. I due entrarono in collisione anche sulla presidenza della Fondazione della Cassa dei risparmi di Forlì, altro attore economico territoriale col suo mezzo miliardo distribuito a welfare e cultura. Il primo non era a priori ostile che fosse targata politicamente, il secondo sì.

Peraltro per Bulbi scrivi territorio ma leggi caccia, agricoltura e... strade. La smania di circonvallazioni lungo l’asta della via Emilia e altrove nel forlivese-cesenate non nasce certo con lui. Col Presidente della Provincia Forlì-Cesena (2004-14) però mette le ali. Savignano al Rubicone ne prevedeva una che aggirava la cittadina a monte con tante belle rotonde. Fu cassata nel 2014 dall’attuale sindaco Filippo Giovannini. Circonvallazione fa rima con consumo di suolo e speculazione immobiliare.

A Bulbi non basta un casello in più in Romagna per la A14 (22 milioni più della metà pagati dalla sua provincia). Come osservava nel 2012 ironicamente uno dei suoi più acerrimi detrattori, il Verde Sauro Turroni, “non c’è stata strada di cui non ci abbia promesso l’ampliamento, il rinnovo con aumento della scorrevolezza e della velocità...” Sulla carta rimase però anche quell’autentico capolavoro di sinergia tra politica e potere economico che Bulbi architettò per collegare Forlì e Cesena: una tratta a pagamento al prezzo di 255 milioni, meno della metà pubblici, il resto di privati con però tante perplessità riguardo agli interessi riguardanti la valorizzazione immobiliare delle aree coinvolte nel progetto.

In conclusione il Partito Democratico mette molta enfasi nella transizione ecologica ed ha in materia un programma decisamente più serio e dettagliato dei tre partiti della coalizione di destra (nella Lega è all’ultimo punto). Difficile però vedere in Bulbi un credibile interprete di quel programma.


domenica 21 agosto 2022

ANCORA SUL PALAZZACCIO. LA PANCIA DELL'AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI CESENA NON SA CHE LA SUA IMPORTANZA NON DERIVA DAL RUOLO CHE VI EBBE IL DEMONIO MA IN QUANTO FU EPICENTRO DEL MOTI RISORGIMENTALI DEL 1831-'32.

 

Urge segnalare al sindaco di Cesena Enzo Lattuca, alla sua giunta e, in cima a tutti, all’assessore alla cultura Carlo Verona che il cosiddetto Palazzaccio situato sulla collinetta che sta al centro del quartiere Fiorita è importante per la città non per via della leggenda del suo legame col diavolo. Bensì per i moti risorgimentali del 1831-’32.

Nello specifico, come ci spiegano gli storici locali, il 20 gennaio 1832 fu quartier generale dei patrioti in particolare nel frangente in cui le forze reazionarie pontificie e austro-ungariche, sfondate le porte della città e lasciati sul terreno un po' di morti innocenti, spensero il pronunciamento patriottico. Fu, per i progressisti di allora, una sconfitta, per quanto temporanea, perché poi nel 1859-61, come tutti sanno, si formerà il novello stato italiano, ma fu vera, documentata, oltre che diabolicamente umana. Quindi degna d’ogni sorta di priorità in relazione all’edificio. Con buona pace del signore delle tenebre.

Invece, come rivela il testo riguardante il manufatto incluso nel totem illustrativo del quartiere Fiorita quale esempio di edilizia popolare degli anni dal 1949 al '63, totem piazzato proprio in faccia al quasi rudere secentesco, per gli amministratori di Cesena l’importanza del medesimo dipende tutta dalla leggenda che il maligno eccetera eccetera. La motivazione scientifica e storicamente aggiornata non fa breccia.

A nulla sono serviti, insomma, i dotti articoli giornalistici dei mesi recenti, né le solenni cerimonie con tanto di vigili e carabinieri, gli incontri col gotha politico amministrativo cesenate e neppure le serate illustrative da parte degli storici sopracitati alla presenza dei rappresentanti dei partiti. Tutti consenzienti naturalmente sulla necessità del recupero del manufatto, e non certo per appiccicarci la targa “qui si narra che belzebù eccetera eccetera...”.

Assessore Verona, come spiega la circostanza per cui nell’allestimento del materiale informativo sul Palazzaccio da utilizzare nel totem vi siate affidati all’associazione Aidoru? L'associazione, infatti, con diecimila euro di stanziamenti regionali aveva svolto un lavoro di studio e apprendimento sul tema dei quartieri cesenati di edilizia popolare quali appunto il Fiorita e il Vigne in collaborazione di studenti e docenti di vari istituti cittadini. Poi, però, occupandosi anche del Palazzaccio, ha sprovvedutamente sposato la tesi diavolesca.

Invece di informarsi a dovere, Aidoru si è avvalsa della consulenza dello storico locale Franco Spazzoli, il quale, come testimonia anche il sito www.aidoru.org, non si limita solo a raccontare la leggenda del diavolo eccetera eccetera. Aggiunge anche che episodi inquietanti e rilievi con strumentazioni sofisticate raccolti nell'edificio potrebbero essere riconducibili effettivamente ad una presenza di qualcosa... qualcosa da brivido... tra le sue mura scalcinate e pericolanti.

Insomma, il Palazzaccio ovvero il castello di Azzurrina a Montebello di Poggio Torriana in salsa cesenate. Che, certo, in questa mini-storia di dilettantismo e improvvisazione almeno fa un po' ridere. Un po' anche piangere.


martedì 16 agosto 2022

IL PATAFFIO DI FRANCESCO LAGI SIAMO NOI. IL NOSTRO SGANGHERATO TEATRINO POLITICO. NELLE SALE DAL 18 AGOSTO

Non è stato certo il film più toccante o coinvolgente del Locarno Film Festival di quest’anno 2022, il settantacinquesimo della sua storia. Non ha preso neanche un premio. Neanche uno mini. Il Pataffio di Francesco Lagi, uno dei quattro lungometraggi italiani in concorso nella cittadina svizzera del lago Maggiore, è stato però quello nella cui visione il presente, per quanto mi riguarda, ha interferito di più.

La vicenda del gruppo di squinternati e improbabili alto-medievali che raggiungono, per insediarvisi, un feudo con relativo castello malconcio peggio di loro, un feudo ottenuto dal signore-capo della comitiva come dote matrimoniale, matrimonio non per amore, fin dalla prima scena mi ha insinuato una molesta apprensione. Figlia di un timore non so quanto giustificato: che la sala cosmopolita del festival vi intravedesse la solita Italia e i soliti italiani. Non solo cioè intruppati, pur senza un filo di solidarietà, straccioni e naturalmente pure cialtroni. Che ci può stare per fare ridere un po’. Ma anche mai seri neppure al cospetto dei propri inguaribili autolesionismo e tafazzismo.

Un film impudico, insomma, che sotto i costumi lerci, o presunti tali, di più di mille anni fa, ci deride agli occhi del mondo senza pietà con le smorfie di Franco & Ciccio e gli sghignazzi di Fo, ma molto seriamente. La caduta del governo Draghi per puro collasso etico-politico era di pochi giorni prima quel 6 agosto della proiezione. E si era in pieno tourbillon di alleanze e fregature a sinistra imposte e favorite dallo sciagurato rosatellum. Per dire, insomma, che forse ho travisato, ma mi perdonerete: ero decisamente vulnerabile...

Anche dopo che la vicenda mi ha catturato, non sono infatti riuscito a sciogliermi del tutto da quell’incantesimo all’incontrario dell’esordio. Anzi, la storia poi se n’è come intrisa, impedendomi per il resto del film di leggerla in modo diverso dalla triste allegoria delle nostre vicende politiche in corso e delle relative maschere.

Non sono il critico che vi racconta la trama. Mi limiterò quindi a dire che nei personaggi di Lagi ho visto incarnata la destra che inganna e s’incipria e la sgangherata e solipsistica sinistra Armata Brancaleone (il film di Monicelli subito evocato dalla critica come classico di riferimento). In mezzo, a giocarsela per proprio vantaggio e piacere personale, i mezzani e quelli che mandano avanti gli altri. Mediocri e calcolatori, oscillano tra i due estremi oppure si barcamenano guidati dalla stella polare del seggio sicuro.

Per dirla un po' più chiara nella prima mondiale del film di Lagi vedevo dibattersi vestiti di stracci ma nel modo altrettanto poco convincente, e non deludente solo perché (non so le lo sanno) non ti consentono neanche di illuderti, tutti i principali protagonisti della nostra pantomima politica a maggioranza maschile. Meloni, Salvini, Letta, Calenda, Renzi, Fratoianni, Berlusconi, più comparse come Carfagna, Di Maio, Gelmini. 

Li vedevo come recitano in questi giorni nelle varie vesti imposte dall’occasione, dalla convenienza personale ben vestita di retorica e dall’intervistatore e relativa testata, loro. Non, come invece nel film, il signore arrogante, doppio e vigliacco. E neppure il consigliere complice, sottomesso e schiavo del proprio aplomb, il padre spirituale ipocrita e manipolatore e il capopopolo doppiogiochista e bulimico. Un unico anelito di sogno o di visione c’è, nel Pataffio. Si dissolve però senza neanche un sospiro di speranza.

Dal 18 agosto anche in Italia, ma difficilmente contrasterà l’astensionismo...

martedì 2 agosto 2022

CESENA OVVERO LA PARTECIPAZIONE VOGLIO/NON VOGLIO. CHIEDO AI CITTADINI MA ANCHE NON CONSULTO E NON RENDICONTO

Cesena - Le dimissioni di Amedeo Farabegoli dalla presidenza del quartiere Rubicone sono successivi ad una esplicita denuncia di mancata partecipazione da parte dei suoi stessi consiglieri. “A tutt’oggi l’impegno dei consiglieri (salvo rare eccezioni Magnani Gabriele) non c’è stato” dichiara Farabegoli nel verbale del maggio 2022. Niente di sorprendente: sono lontani i tempi in cui i cittadini erano, anche ideologicamente, attivi negli organismi deputati, non ultimi quelli di quartiere. Certo, sempre stando ai verbali, l’ex-presidente sembrerebbe non risparmiare pure una stoccata ai piani alti dell’amministrazione comunale, quando aggiunge: “L'importanza e la considerazione dei Quartieri è ridotta ai minimi termini da Settembre 2020”, cioè dall’elezione dei 12 nuovi organismi locali (124 consiglieri totali) con nuovo regolamento rispetto al passato. Forse non proprio “ai minimi termini”. In modo parecchio ambivalente, però, sì.

Da un lato non li snobbano affatto. Se, per esempio, in un consiglio ci sono componenti che avanzano richieste o sollevano problemi a cui solo l’assessore competente può fornire risposta questi non manca di interloquire. In presenza naturalmente. Magari anche solo per delineare i limiti del proprio possibile intervento come nel caso della Sagra del Minatore a Borello, che quest’anno non si farà: mancano le risorse umane e materiali. E il comune, spiega l’assessore Luca Ferrini (economia, sicurezza e legalità) “può solo dare una disponibilità organizzativa” all’impresa. E pure soldi. A patto che il referente sia il terzo settore. Mica il quartiere stesso, che a Cesena è una istituzione rinata nel settembre 2020, ma solo octroyée, concessa. Per favorire, appunto, la partecipazione. La legge la vieterebbe.

Le note più dolenti stanno altrove, quando cioè si esamina la partecipazione come processo dell’amministrare. Dalla audizione del 21 giugno 2022 in seconda commissione risulta che l’assessora Francesca Lucchi non ha sottoposto all’esame della neonata consulta per l’ambiente questioni come la creazione di un bosco periurbano nell’area periferica detta del Fagiolo e il taglio di piante, anche consistenti, lungo il Savio. I neonato codice della partecipazione approvato nel marzo 2022 all’art. 4 (principi generali) gliel’avrebbe consigliato. E lo stesso presidente della consulta, Maurizio Pascucci, l’ha incoraggiata in questa direzione per il futuro. Invito più che mai a proposito perché, come verificato già in relazione ai lavori di gestione delle piene bicentenarie del Cesuola nel quartiere di Ponte Abbadesse, informazione preventiva e coinvolgimento dei cittadini non sono corde attivissime nell’ingegnera.

La quale, però, oltre che non sensibilissima al tema partecipazione, è anche vittima dell’approccio oscillante dell’amministrazione di Enzo Lattuca alla materia. Da un lato, come qualsiasi architetto sa, a Cesena, in Italia, c’è la “programmazione partecipata” imposta dalle direttive europee e dalle leggi nazionali e regionali esprimentesi nei complessi iter di approvazione dei vari Pug e Pums con audizioni, focus group, questionari, commissioni, portatori d’interessi, associazioni, osservazioni, controdeduzioni e tant’altro per condividere la programmazione su temi come l’edilizia e la mobilità; dall’altro lato però la partecipazione su tante altre deliberazioni, per quanto santificata dal sopracitato codice e incentivata da iniziative come Cesena partecipa, in cui si chiede ai cittadini stessi di fare proposte, naturalmente finanziate dal Comune stesso, non prevede una delega assessorile. C’è solo un referente amministrativo con compiti di promozione della partecipazione”, in primis quella che fa capo ai 12 quartieri.

Ai quali quartieri quindi torniamo per verificare che, primo, i verbali delle loro attività sono redatti dai presidenti stessi, il che non è certo garanzia né di trasparenza né di solerzia ed esaustività. Si riscontrano poi situazione eclatanti. La più seria quella per cui il coordinatore del collegio dei presidenti di quartiere Fabio Pezzi non ha pubblicato alcun verbale nello spazio del suo quartiere, il Ravennate, ad eccezione di quello del 1 ottobre 2020 che consacra l’insediamento del consesso e la sua nomina. Il presidente del Ravennate nonché presidente del collegio dei presidenti dei dodici quartieri. Venti mesi senza rendicontare riguardo all’attività del suo quartiere.

Al riguardo la funzionaria dell’Ufficio Partecipazione ci ha spiegato che sì, effettivamente, i verbali non ci sono, anche se questo non significa che non siano stati fatti. Da qualche parte saranno. Non abbiamo ragione per non crederle, ma ci ha colpito parecchio sentirci riferire che a rigore, però, i verbali delle attività dei quartieri non sarebbero “obbligatorissimi”. Ci riporta infatti all'interrogativo di partenza: ai quartieri gli amministratori di Cesena ci credono o no?