Se qualcuno fosse alla ricerca di un esempio di collaborazione tra le due generazioni estreme, quella dei venti-
trentenni e quella d’argento, che la demografia, l’economia e l’Inps mettono solitamente in conflitto, avrebbe
dovuto partecipare alla serata di lunedì 10 febbraio 2020 presso la sala Cacciaguerra del Credito Cooperativo di
via Bovio a Cesena in occasione della prima serata del Ciclo di conferenze nel quarantennale dell’Associazione
Romagnola Ricerca Tumori (Arrt) su Inquinamento Ambientale e tumori.
Il tema della serata era Inquinamento e cambiamenti climatici: effetti sulla salute, e in cattedra c’era Gianni Tamino, ex-docente di biologia all’università di Padova, oggi impegnato nell’Isde (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente). Il luminare, per quanto magistralmente, non ha riferito nulla di più di quanto il mondo scientifico sta cantando da tempo, in particolare negli ultimissimi anni, con veri e propri proclami. Non ultimo il celebre Act now idiot. L’emergenza clima, ha egli stesso del resto sottolineato, tocca ormai i cinquant’anni. I primi allarmi risalgono ai primi anni ’70 e non sbagliavano se non riguardo ad un dettaglio: “Eravamo ottimisti. Oggi le cose sono peggio di quanto avevamo previsto”.
Nella Sala Cacciaguerra, però, a rimpolpare un pubblico comunque magro, c’erano anche i giovani del Friday for future, che, a quanto pare, a Cesena si riuniscono negli spazi di Arrt in via Cavalcavia e sul palco erano rappresentati dal cesenate Michele Bruzzi, figura di convergenza tra i fridays e le sardine. Il dibattito successivo pertanto ha preso incontenibilmente un indirizzo politico. Così che di salute s’è parlato meno.
Perché entrambi i fronti, quello degli anziani rappresentati da Tamino, ma anche dal biologo Antonio Marongiu, figura storica dell’Isde, nonché da Franco Urbini, attuale presidente, e pure dal dottor Giancarlo Biasini, ex primario di pediatria al Bufalini, e l’altro, quello dei giovani dei nuovi movimenti politico-ambientalisti, hanno concordato sull’idea che le buone pratiche individuali non basteranno a contenere l’impennata del climate change con le inevitabili conseguenze ambientali, economico sociali e, naturalmente, sanitarie. “Nessun paese del G20 ha raggiunto gli obbiettivi di riduzione” ha detto Tamino. La CO2 continua a crescere e anche l’uso del carbone.
Che fare, quindi, secondo chi in nome dell’ottimismo della volontà non si rassegna alla previsione dei peggiori disastri derivanti dal superamento del limite di 1,5 gradi della temperatura media della terra, superamento che il pessimismo della ragione dà per scontato? Queste le risposte. Secondo una giovane architetta del pubblico urge “una visione alternativa al mito della crescita, che non c’è”. Tamino invece sostiene che bisogna “imporre dal basso il cambiamento” allo scopo “di riinserire l’economia nel sistema circolare” proprio della natura al posto di quello “lineare” proprio della società della crescita obbligatoria, del consumo ad oltranza e della produzione dei rifiuti. Secondo Bruzzi infine, in linea con le istanze sardinesche, ci vuole una “rivoluzione nella comunicazione” che porti al centro del dibattito collettivo un problema (il climate change, NdR) che invece sta tragicamente “distante dai problemi della vita quotidiana”. Ma non lo è.
Tanto che dal pubblico è uscito un interrogativo quanto mai funereo. Non è che questa negazione massificata del dramma incombente non sia altro che una delle cinque fasi associate alla comunicazione di una malattia inguaribile, la fase cioè della negazione del lutto? “Il lutto di noi stessi” ovviamente...
Il tema della serata era Inquinamento e cambiamenti climatici: effetti sulla salute, e in cattedra c’era Gianni Tamino, ex-docente di biologia all’università di Padova, oggi impegnato nell’Isde (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente). Il luminare, per quanto magistralmente, non ha riferito nulla di più di quanto il mondo scientifico sta cantando da tempo, in particolare negli ultimissimi anni, con veri e propri proclami. Non ultimo il celebre Act now idiot. L’emergenza clima, ha egli stesso del resto sottolineato, tocca ormai i cinquant’anni. I primi allarmi risalgono ai primi anni ’70 e non sbagliavano se non riguardo ad un dettaglio: “Eravamo ottimisti. Oggi le cose sono peggio di quanto avevamo previsto”.
Nella Sala Cacciaguerra, però, a rimpolpare un pubblico comunque magro, c’erano anche i giovani del Friday for future, che, a quanto pare, a Cesena si riuniscono negli spazi di Arrt in via Cavalcavia e sul palco erano rappresentati dal cesenate Michele Bruzzi, figura di convergenza tra i fridays e le sardine. Il dibattito successivo pertanto ha preso incontenibilmente un indirizzo politico. Così che di salute s’è parlato meno.
Perché entrambi i fronti, quello degli anziani rappresentati da Tamino, ma anche dal biologo Antonio Marongiu, figura storica dell’Isde, nonché da Franco Urbini, attuale presidente, e pure dal dottor Giancarlo Biasini, ex primario di pediatria al Bufalini, e l’altro, quello dei giovani dei nuovi movimenti politico-ambientalisti, hanno concordato sull’idea che le buone pratiche individuali non basteranno a contenere l’impennata del climate change con le inevitabili conseguenze ambientali, economico sociali e, naturalmente, sanitarie. “Nessun paese del G20 ha raggiunto gli obbiettivi di riduzione” ha detto Tamino. La CO2 continua a crescere e anche l’uso del carbone.
Che fare, quindi, secondo chi in nome dell’ottimismo della volontà non si rassegna alla previsione dei peggiori disastri derivanti dal superamento del limite di 1,5 gradi della temperatura media della terra, superamento che il pessimismo della ragione dà per scontato? Queste le risposte. Secondo una giovane architetta del pubblico urge “una visione alternativa al mito della crescita, che non c’è”. Tamino invece sostiene che bisogna “imporre dal basso il cambiamento” allo scopo “di riinserire l’economia nel sistema circolare” proprio della natura al posto di quello “lineare” proprio della società della crescita obbligatoria, del consumo ad oltranza e della produzione dei rifiuti. Secondo Bruzzi infine, in linea con le istanze sardinesche, ci vuole una “rivoluzione nella comunicazione” che porti al centro del dibattito collettivo un problema (il climate change, NdR) che invece sta tragicamente “distante dai problemi della vita quotidiana”. Ma non lo è.
Tanto che dal pubblico è uscito un interrogativo quanto mai funereo. Non è che questa negazione massificata del dramma incombente non sia altro che una delle cinque fasi associate alla comunicazione di una malattia inguaribile, la fase cioè della negazione del lutto? “Il lutto di noi stessi” ovviamente...
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