martedì 20 settembre 2022

FORMIGNANO RIVISITATO DAL WORKSHOP SVOLTOSI A GIUGNO 2022 A CESENA ED ESPOSTO A VILLA TORLONIA, SAN MAURO PASCOLI, IL 16-18 SETTEMBRE, DIMENTICA IL LAVORO DI CHI ALLA MEMORIA E AL RECUPERO DELLA STAGIONE MINERARIA DI CESENA STA DEDICANDO DA DECENNI RICERCHE E STUDI SENZA I QUALI FORSE DI FORMIGNANO OGGI NEPPURE SI PARLEREBBE

Dopo quasi un ventennio di fare e disfare la tela di Penelope del recupero del borgo minerario cesenate di Formignano nella frazione di Borello vive un nuovo inizio grazie al workshop internazionale svoltosi a Cesena nel giugno 2022, le cui conclusioni sono state esposte il 16-18 settembre a Villa Torlonia, San Mauro Pascoli, in occasione della Festa dell’architettura 2022. La visione minimalista, però, che ha ispirato il lavoro del gruppo di studenti della facoltà di architettura e professionisti di chiara fama, in quanto tutta affidata al ruolo precipuo delle due componenti del sito rappresentate dai resti degli edifici e dalla incombente e pervasiva vegetazione che ormai li annichilisce, non può soddisfare. 

Presumibile che pochissimi cesenati avranno visitato la mostra nella sala delle Tinaie, perché l'etereo assessorato di Cesena, che pure ha patrocinato l’evento, non l’ha poi sostanzialmente pubblicizzato, nonostante Formignano, benché periferico, stia tuttavia particolarmente a cuore ai cesenati. Nel 2019 al suo recupero gli hanno assegnato il secondo maggior numero di voti nella graduatoria degli interventi pubblici da finanziare su indicazione dei cittadini. 

Lascia, comunque, “esterefatto” Davide Fagioli, uno dei massimi attivisti della Società di Ricerca e Studio della Romagna Mineraria, nata nel 1987 e che da trentacinque anni tiene viva la memoria di quando Cesena era capitale dello zolfo. Giudizio lapidario: nello studio, che è nella sostanza il risultato di un raffinato brainstorming, mancano le persone”. A rigore non è vero: gli architetti hanno ben presente che quelli sui quali e nei quali si sono cimentati per immaginarne qualcosa di nuovo erano luoghi di fortissima valenza antropica. Non sono però andati oltre questa, chiamiamola così, presa d’atto.

Come anticipato, per gli autori del workshop le idee intorno a Formignano devono scaturire dal dialogo e anche dal conflitto dei due ingredienti base sopravvissuti del sito: i ruderi del borgo cadenti e sfondati dal nevone del 2012 presso cui s’apre la discenderia conducente ai cunicoli da cui estrarre lo zolfo (affondano fino a seicento metri sviluppandosi su ventidue livelli in una rete che raggiunge la frazione di Tessello a 4 km dal Formignano). E la vegetazione che dal 1962, anno della chiusura dell'impianto, li sta divorando. Una visione minimalista, come detto, ma anche un po' manichea: i primi sarebbero per i progettisti quel che resta di un lavoro disumano, la seconda rimedia con una pazienza da assecondare e da cui lasciarsi guidare. Un'impostazione sostanzialmente fuorviante.

Il ruolo dell’umano a Formignano, infatti, non è rappresentato solo da quello scontato delle miniere: vita dura, breve e magra e ambiente sfigurato o anche avvelenato. Da guarire. C’è anche la specificità cesenate espressa dalla per nulla disumana narrazione della stagione delle miniere da parte di chi con ricerche, studi, viaggi, scambi epistolari, visite guidate, vere e proprie spedizioni d'oltremare dove i minatori della Romagna sono poi emigrati per scavare in vene economicamente più competitive e farsi sfruttare anche di più, sta dedicando da decenni tempo, passione e competenze, non solo per dirci come si stava e come si lavorava a Formignano. Bensì anche per ricostruire una rete di “addentellati”, per usare un termine caro al più rappresentativo studioso del sito, Pierpaolo Magalotti, autore di Paesi di zolfo del 1998, cioè di relazioni che legano la Cesena del tempo, in cui il metalloide era nel mondo una risorsa centrale, a vite, imprese, passioni, valori, generazioni passate e presenti, nazioni e addirittura continenti. 

Questo ingrediente, diciamo pure, storiografico è stato tenuto fuori dal workshop, come ci confermano gli stessi storici cesenati della società mineraria coinvolti solo per aprire le porte del sito e guidare al suo interno gli studiosi del terzo millennio. E il vuoto risalta, anzi strilla, nell’allestimento stesso della mostra. Tanto più se si considera che il sopracitato lavoro di ricerca ha nella massima istituzione cesenate e nel suo patrimonio documentario il suo principale nutrimento. Ci riferiamo alla Biblioteca Malatestiana.

lunedì 12 settembre 2022

LA MOSTRA TEMPORANEA SULLA MARCIA SU ROMA A PREDAPPIO MERITA DI ESSERE VISITATA MA SE ANNACQUI IL FASCISMO SUL TEMA DELLA VIOLENZA IL GIOCO DIVENTA FACILE PER TRASFORMARLO IN UN EVENTO MENO PERNICIOSO DI COME FU


La mostra O Roma o Morte a cura di Franco D’Emilio e Francesco Minutillo visitabile nel paese natale di Benito Mussolini, Predappio, Fc, fino al 4 novembre al venerdì, sabato domenica e festivi non è apologia di fascismo, ma dal punto di vista storico esprime un difetto perfino peggiore. Giovedì 15 settembre se ne parlerà a Piazza pulita grazie ad una visita in loco dei giornalisti di Formigli e ciascuno potrà farsene un’idea. Il nostro appunto è questo: la mostra non pone nel dovuto e corretto rilievo la violenza sistematica delle squadre fasciste ai danni di tutto ciò che riguardava il movimento socialista, sindacale e associativo della sinistra di allora, e pure degli slavi, che scattò con una progressività incontenibile e mirata a partire dal 1921 ed in particolare dall’inizio del 1922.

D’Emilio, classe ’51, una vita ai Beni culturali, guidandoci da vero signore e competente di cultura e storia per la mostra ci convince in pieno sul valore documentario dei cimeli e comunque dell’allestimento complessivo e crediamo non sia piaggeria invitare a visitarla e perfino apprezzarla. Prima di giudicarla.

Non può però liquidare la questione chiave del colpo di stato del 27 ottobre 1922 che interruppe per un ventennio la vita dell’Italia liberale coll’argomentazione, riportata nei pannelli illustrativi e da lui stesso a noi ribadita, che a violenza rossa ne insorse per reazione e necessità una analoga nera, e che la turbolenza complessiva politica e sociale del dopoguerra giustificò un’azione fortemente repressiva per riportare ordine e, di conseguenza, fare poi cose buone.

La questione è molto più complessa e proprio per questo la mostra avrebbe bisogno di una stanza in più tutta dedicata alla premessa storica della Marcia su Roma, rappresentata appunto dall'azione liquidatrice ai danni di ogni opposizione al fascismo, che si scatenò sostenuta dai poteri forti di allora e, soprattutto, da esercito e carabinieri. È fuorviante, mistificatorio e sostanzialmente falso limitarsi ad affermare, più o meno, che “la forza (quella fascista) fu l’estremo rimedio al disordine sociale”.

Primo perché nella prima fase alla turbolenza (1919-21) con corollario di morti neri, bianchi rossi innocenti e pure soldati e carabinieri contribuirono anche i fascisti. Secondo perché i leader socialisti, per quanto ambissero, come dicevano, di fare come in Russia, erano tuttavia alieni dal ricorso alla violenza, anche se questa non mancò negli scontri: tendenzialmente non l’approvavano e i fatti dicono che ci misero molto a capire che solo con la forza avrebbero almeno potuto rallentare la catastrofe. Terzo, togliere dallascesa del fascismo il booster della sopraffazione fisica all’insegna appunto del O Roma o morte significa non solo edulcorare il fascismo ma anche precludere la comprensione dei disastri successivi: dal totalitarismo alla liquidazione mirata degli oppositori, dai massacri in Etiopia alle leggi razziali e alla guerra insieme a Hitler...

La mostra andrebbe insomma, da un lato, significativamente integrata. Dall’altro inquadrata in modo più amplio e onesto. Dopo di che, ma solo dopo, potrà partire per lidi più affollati di Predappio e contribuire alla creazione di una istituzione che manca: il museo storico sul fascismo. 

giovedì 8 settembre 2022

RIMINI DI ULRICH SEIDL RACCONTA L'EPICA DELLA SOLITUDINE ATTRAVERSO LE TRAVERSIE DI UN PERSONAGGIO CHE EPICO NON APPARE MA CI CONQUISTA



Rimini di Ulrich Seidl è un film sulla solitudine. Certo, il protagonista, Ritchie Bravo, non è un giovanotto e ha vissuto lune più smaglianti come cantante da balera e sex bomb, ma questo aspetto declinante della sua figura costituisce solo un ingrediente aggiuntivo. Si sa, del resto, che anzianità e solitudine sono spesso ancelle.

Il fatto è però che in Rimini tutti sono soli con la propria pena che materialmente può consistere nella cura della madre inferma, nell’inseguimento vano in età avanzata dei miti della gioventù o semplicemente in un deficit di sesso (perché la libido non muore mai) tamponato come riesce. E come gli altri Ritchie (Michael Thomas) è solo: solo in compagnia del suo arraffare denaro da qualsiasi fonte sfruttabile, onesta o meno, propria o altrui. Perché tutto è per lui all’incanto: la propria appannata celebrità, le sue indubbie qualità canore, la sua residua potenza sessuale: il tutto al servizio di un mondo di solitudini...

Ma che c’entra Rimini? In nulla, a parte uno sfondo che le appartiene, ma tutt’altro che in esclusiva, cioè il vuoto invernale dei luoghi della festa estiva. Non fornisce il mare, che pure ruggisce fuori campo e oltre un grigio e una nebbia implacabili, e che non vediamo mai. Neppure gli scorci suggestivi della Rimini storica. Rimini, se c’è, svolge un ruolo unicamente attraverso quella terra di nessuno rappresentata dalla fascia attrezzata, che separa la città dalla spiaggia, spopolata d'inverno ad eccezione di perse e dimenticate anime di migranti fuggiti da pene peggiori. Lì si svolge la vita di Ritchie tra performance canore, sessuali, commerciali e altro di molto meno nobile finchè...

Rimini per caso verrebbe da dire. Fosse Cesenatico e Marina di Massa non cambierebbe nulla. Non una Rimini brand,  ma una rimini con la erre minuscola, scarnificata come l’identikit di un volto. Neppure il fascino di una Rimini d’inverno. Quella striscia di riviera di cui sopra vive come schiacciata da un assedio: il mare, come già detto, da un lato, dall'altro le intemperie varie come in un mondo distopico che perseguita costantemente il nostro eroe, sempre in affanno, sempre all'inseguimento del reddito e della propria pena. 

Che tuttavia non è un eroe negativo. E il film stesso pare aprirsi ad un messaggio di speranza inatteso. Consigliasi la visione non doppiata...