giovedì 27 febbraio 2020

I VERDI ROMAGNOLI NELLE ULTIME TORNATE ELETTORALI HANNO SCELTO L’ABBRACCIO COL PD CONDANNANDOSI AL NANISMO E ALL’IRRILEVANZA. OLTRE CHE CONTRADDICENDO I PROPRI VALORI SULL'AMBIENTE. COMPLICE L'OSSESSIONE SALVINI MA ANCHE UN'OSCURA FUGA DALL'OBBLIGO DI DISTINGUERSI IN MODO INEQUIVOCABILE SECONDO L'ESEMPIO DEI GRUNEN TEDESCHI FACENDO EMERGERE FIGURE PRO-AMBIENTE POPOLARI IN MODO TRASVERSALE


Candidati Verdi a Cesena, elezioni regionali gennaio 2020

Linda Maggiori, blogger e scrittrice ambientalista faentina, si dichiara “amaramente” pentita di essersi candidata come Europa Verde al seguito di Stefano Bonaccini, dal 26 maggio 2020 bi-presidente della Regione Emilia Romagna. S’è accorta infatti che l’impegno del Partito Democratico di non consumare più suolo, favorire la mobilità sostenibile e ridurre i combustibili fossili sta più nelle parole che nei fatti. E allora... è ora di parlare dei green romagnoli. E del disastro in cui versano.

In generale non hanno di che gioire i Verdi emiliano-romagnoli per lo striminzito 1,95% delle ultime regionali svoltesi in piena temperie di allarme climatico. L’ingresso in consiglio della giornalista Silvia Zamboni grazie al collegio bolognese e a 790 preferenze forse può consolare un po’ nonostante peggio di lei abbia fatto solo il secondo eletto cinquestelle. Non certo però illudere di imporre a Bonaccini la svolta radicale che l’allarme sulla salute della Terra imporrebbe.

Per la Romagna però le cose stanno anche peggio. Non solo la piddina Lia Montalti, che alla propria candidatura aveva impresso un taglio ecologista col suo Manifesto per l’economia verde e l’ambiente, è stata esclusa dalla giunta (e non l’ha presa bene). C’è anche che in consiglio nei prossimi cinque anni il forlivese-cesenate sarà rappresentato dal compagno di partito Massimo Bulbi (oltre 4000 preferenze), il cui principale merito green è di non essere ipocrita e di non nascondere di amar poco la parola ambiente.

Preferisce territorio. Che in quanto presidente di Federcaccia di Forlì-Cesena significa anche territorio di caccia. Bulbi inoltre è un tenace sostenitore della mobilità stradale: delle circonvallazioni, delle bretelle e dei raddoppi. E come presidente della provincia di Forlì-Cesena ha svolto un ruolo determinante nella trasformazione della valle dell’Uso in un polo di smaltimento dei rifiuti incentrato sulle discariche. Ad oggi siamo alla terza. Rifiuti anche pericolosi da tutt’Italia. Senza peraltro che né i Verdi cesenati né quelli riminesi abbiano mai espresso sul tema una mezza parola.

I Verdi romagnoli non sono i grunen tedeschi, d’accordo, e non hanno la stessa forza. Aborriscono poi l’idea della destra al governo della regione. Che pena però vedere Maurizio Pascucci, candidato nel cesenate per il partitino, che sostiene di avere a cuore la vita di tutti gli animali senza eccezioni, confrontarsi sulla stampa pre-elezioni con Bulbi chiedendosi come faranno mai due così a stare nella stessa coalizione. 

Certo, Pascucci è uomo Arpae e attualmente lavora alla Struttura Oceanografica Daphne di Cesenatico e Bulbi nel forlivese-cesenate è passato nell’arco di un quarto di secolo dall’assessorato presso la comunità montana alla presidenza della provincia per finire a sindaco nella sua Roncofreddo. Fanno cioè parte di una grande famiglia amministrativa allargata tinta grosso modo dello stesso colore e se Bulbi è un Pd doc Pascucci sicuramente simpatizza. 

Però, solo per dare un’idea del tasso di primitività con il quale le ragioni dei cacciatori raccolgono ascolto presso il Partito Democratico, basti la circostanza della decurtazione ad opera della regione Emilia-Romagna (delibera del 8 aprile 2019) di ben due terzi dell’Oasi floro-faunistica di Torriana Montebello nel riminese (l’oasi più “longeva del territorio riminese” inclusa nel Sic Torriana Montebello e Fiume Marecchia) con la motivazione della “densità di cinghiali eccessiva”. 

Erano quasi 900 ettari, ne resteranno 326, e i cinghiali verranno ammazzati, scrive il comitato che ne vorrebbe la reintegrazione, “col metodo (incivile, NdR) della braccata che è il peggiore per l’ambiente”. “La braccata – scrivono – può essere fatta nei giorni di mercoledì, sabato e domenica di ogni settimana dal sorgere del sole al tramonto ed è vietato a chiunque di accedere, considerato il rischio per la pubblica incolumità determinato dalle armi e dalle munizioni particolarmente potenti impiegate per tale forma di caccia”. Altro che turarsi il naso!

D’altra parte l’abbraccio col partitone da qualche anno sembra nascere da un impulso compulsivo in Emilia-Romagna e in Romagna in particolare. A Cesena, addirittura, avviene, per così dire, “a mia insaputa”. Nel giugno 2019, secondo la stampa locale i Verdi si schierano con Enzo Lattuca (Pd) al ballottaggio. Sono in tre, Maurizio Pascucci e Cristina Mengozzi (marito e moglie), più Sara Mazzuoli (che vive a Lund, Svezia). Anzi, quattro. C'è anche Gabriella Poma di Bertinoro. Lo stesso paese di Sauro Turroni, ex-parlamentare verde, indicato come possibile regista dell'operazione.

Cesenatoday scrive che sono Verdi, perché il partito, assicura il giornale, è stato ricostituito prima delle europee. “Un’iniziativa a livello personale” commenta però il cesenate Giancarlo Biondi, verde storico che nel 2012 è stato pure delegato con Davide Fabbri, Stefano Brigidi e Leonardo Cuni all’Assemblea programmatica dei Verdi di Chianciano e che ai Verdi è ancora iscritto.

Almeno i riminesi un barlume di serietà l’hanno inscenata. Ad ottobre 2019 hanno raccolto aderenti e simpatizzanti in una Assemblea Costitutiva con tanto di mozione e perfino un dibattito, nel corso del quale i due fronti, quello pro-alleanza col Pd e quello contro, si sono espressi in modo abbastanza trasparente. “Vecchio dilemma” ha esordito la bolognese Silvia Zamboni evidentemente favorevole al pro. “No ad alleanze, sì al piccolo partito che pungola” era invece la posizione di Marco Affronte, ex-europarlamentare grillino.

Qualche giorno dopo però a Bologna vince il primo, come del resto prevedibile già a Rimini. Col bel risultato complessivo, giusto per tirare le somme, che a Cesena dei Verdi “a mia insaputa” sparisce traccia esaurito il compito di portare voti al sindaco Lattuca. A Faenza, d’accordo Art. 1, ringalluzzisce il partito del mattone. E a Bologna Bonaccini, come premio per lo “sbattimento” (potrebbe dire qualche follower di Linda Maggiori) per farlo vincere, esclude dalla nuova Giunta regionale, oltre all’unica romagnola “verde” del suo partito, anche i Verdi. Che come bambini un po' sprovveduti e confusi si lagnano e pentono. 

venerdì 14 febbraio 2020

IL CLIMA CAMBIA, IN PEGGIO, E LE MALATTIE AUMENTANO. È IL MANTRA DELLA CESENATE ASSOCIAZIONE ROMAGNOLA RICERCA TUMORI ILLUSTRATO NELLA PRIMA SERATA DEL CICLO DI CONFERENZE SUL TEMA IN OCCASIONE DEL PROPRIO QUARANTENNALE. CHE FARE? NON BASTERÁ IL MANUALE DEL BRAVO ECOLOGISTA. URGE, SECONDO SCIENZIATI E GIOVANI FRIDAYS, UNA RIVOLUZIONE NELLA POLITICA, NELL’ECONOMIA E NELLA COMUNICAZIONE


Se qualcuno fosse alla ricerca di un esempio di collaborazione tra le due generazioni estreme, quella dei venti- trentenni e quella d’argento, che la demografia, l’economia e l’Inps mettono solitamente in conflitto, avrebbe dovuto partecipare alla serata di lunedì 10 febbraio 2020 presso la sala Cacciaguerra del Credito Cooperativo di via Bovio a Cesena in occasione della prima serata del Ciclo di conferenze nel quarantennale dell’Associazione Romagnola Ricerca Tumori (Arrt) su Inquinamento Ambientale e tumori.

Il tema della serata era Inquinamento e cambiamenti climatici: effetti sulla salute, e in cattedra c’era Gianni Tamino, ex-docente di biologia all’università di Padova, oggi impegnato nell’Isde (Associazione Italiana Medici per l’Ambiente). Il luminare, per quanto magistralmente, non ha riferito nulla di più di quanto il mondo scientifico sta cantando da tempo, in particolare negli ultimissimi anni, con veri e propri proclami. Non ultimo il celebre Act now idiot. L’emergenza clima, ha egli stesso del resto sottolineato, tocca ormai i cinquant’anni. I primi allarmi risalgono ai primi anni ’70 e non sbagliavano se non riguardo ad un dettaglio: “Eravamo ottimisti. Oggi le cose sono peggio di quanto avevamo previsto”. 

Nella Sala Cacciaguerra, però, a rimpolpare un pubblico comunque magro, c’erano anche i giovani del Friday for future, che, a quanto pare, a Cesena si riuniscono negli spazi di Arrt in via Cavalcavia e sul palco erano rappresentati dal cesenate Michele Bruzzi, figura di convergenza tra i fridays e le sardine. Il dibattito successivo pertanto ha preso incontenibilmente un indirizzo politico. Così che di salute s’è parlato meno.

Perché entrambi i fronti, quello degli anziani rappresentati da Tamino, ma anche dal biologo Antonio Marongiu, figura storica dell’Isde, nonché da Franco Urbini, attuale presidente, e pure dal dottor Giancarlo Biasini, ex primario di pediatria al Bufalini, e l’altro, quello dei giovani dei nuovi movimenti politico-ambientalisti, hanno concordato sull’idea che le buone pratiche individuali non basteranno a contenere l’impennata del climate change con le inevitabili conseguenze ambientali, economico sociali e, naturalmente, sanitarie. “Nessun paese del G20 ha raggiunto gli obbiettivi di riduzione” ha detto Tamino. La CO2 continua a crescere e anche l’uso del carbone.

Che fare, quindi, secondo chi in nome dell’ottimismo della volontà non si rassegna alla previsione dei peggiori disastri derivanti dal superamento del limite di 1,5 gradi della temperatura media della terra, superamento che il pessimismo della ragione dà per scontato? Queste le risposte. Secondo una giovane architetta del pubblico urge “una visione alternativa al mito della crescita, che non c’è”. Tamino invece sostiene che bisogna “imporre dal basso il cambiamento” allo scopo “di riinserire l’economia nel sistema circolare” proprio della natura al posto di quello “lineare” proprio della società della crescita obbligatoria, del consumo ad oltranza e della produzione dei rifiuti. Secondo Bruzzi infine, in linea con le istanze sardinesche, ci vuole una “rivoluzione nella comunicazione” che porti al centro del dibattito collettivo un problema (il climate change, NdR) che invece sta tragicamente “distante dai problemi della vita quotidiana”. Ma non lo è.

Tanto che dal pubblico è uscito un interrogativo quanto mai funereo. Non è che questa negazione massificata del dramma incombente non sia altro che una delle cinque fasi associate alla comunicazione di una malattia inguaribile, la fase cioè della negazione del lutto? “Il lutto di noi stessi” ovviamente... 

giovedì 6 febbraio 2020

FORLÌ-CESENA È LA PROVINCIA ROMAGNOLA COL PIÙ ALTO NUMERO DI INCENDI. NON SOLO BOSCHIVI. ANCHE DI AZIENDE. I PIÙ IMPATTANTI SUL TERRITORIO E SULLA SALUTE. LE CAUSE RARAMENTE SI INDIVIDUANO

di Tiziana Lugaresi


Capannone Longiano Imballaggi, incendio 2017


Come si evince dalle statistiche del Corpo dei Vigile del fuoco gli incendi e le esplosioni in generale sono in aumento. I dati più aggiornati risalgono al 2017 e parlano chiaro: sono cresciuti a livello nazionale rispetto all’anno precedente del 33,7% e in Emilia Romagna del 32,3%. Ed è sconcertante constare che nella provincia di Forlì-Cesena la medesima tipologia di eventi è aumentata del 41,4% nello stesso periodo. 

Il cuore della Romagna, pertanto, se non è terra di fuochi, certo sembrerebbe esserlo di incendi. Anche per l’anno appena trascorso sulla stampa ci si trova di fronte ad un elenco lunghissimo. Nella maggior parte dei casi sono eventi subito circoscritti e domati grazie alla tempestiva ed efficace opera dei vigili del fuoco e delle altre forze dell’ordine, e sono soprattutto incendi boschivi. Anche di tutt’altro genere però: dalle auto ai furgoni, dalle roulotte agli autoarticolati, dai trattori agli autobus di linea, dai garage alle cantine, dai capannoni agricoli alle attrezzaie agli stabilimenti balneari. Perfino le imbarcazioni. Per non parlare degli appartamenti, i cui roghi appiccati in solai, tavernette, cucine, balconi, lavanderie per fortuna solo in pochi casi hanno avuto esiti drammatici per le persone.

Il fuoco distrugge anche, ma con impatti più devastanti, aziende di produzione: in particolare di imballaggi, pellami, di stoccaggio biomasse o di depositi rifiuti, ma non ne sono immuni strutture di interesse pubblico come il depuratore di Cesenatico o l’impianto di compostaggio della Busca (l’altro giorno). In questo caso, però, e qui arriviamo al punto, il danno non si ripercuote solo sui lavoratori coinvolti e sull’imprenditore, come vorrebbero farci intendere i corifei politici e giornalistici, ma anche sulla collettività. I milioni di euro stanziati dalla Regione e dai Comuni per le bonifiche ambientali resesi necessarie dopo gli incendi più devastanti non vengono forse dalle tasche dei contribuenti? Si cercano cause e responsabilità ma nella stragrande maggioranza dei casi non si arriva a nulla.

E poi c’è l’aspetto più importante: quello delle ricadute sulla salute delle persone. Con buona pace di Arpae, che, sempre solerte con i suoi sempre presenti (pochi) operatori sui luoghi dei disastri monitora l’eventuale inquinamento dell’aria e delle acque, ma i responsi, quasi fossero dei semplici copia incolla, si ripetono quasi sulla stessa falsariga, e mirano evidentemente a rasserenarci, tanto son benevoli. Tanto più che nei comunicati spesso compare la favorevole circostanza dei venti che vanno
verso l’alto (quando si dice essere fortunati) e come una mano santa trasportano i veleni lontano. A far danni comunque altrove.

La verità invece è che “ogni processo di combustione produce sostanze inquinanti, e soprattutto anidride carbonica, uno dei gas responsabili del cosiddetto effetto serra”. (“Enciclopedia Treccani). Non ci si venga pertanto a raccontare che questi continui roghi di materiali anche molto pericolosi non producano effetti sulla qualità della nostra aria già così pesantemente compromessa e quindi sulla nostra salute.

E siccome, come riporta un’ampia letteratura, le cause accidentali costituiscono una percentuale minoritaria rispetto ad altre dolose o comunque legate a comportamenti umani, includenti l’inadeguata prevenzione, gli interrogativi sono i seguenti. Non siamo forse in un territorio avanzato per cultura, rispetto delle regole e comportamenti responsabili? Un luogo dove i sistemi di protezione sono da tempo adottatati? Dove i procedimenti costruttivi sono all’avanguardia? E le corrette manutenzioni, l’uso di tecnologie di prevenzione garantite? E il concetto di responsabilità sociale d'impresa diffusamente acquisito?